sabato 3 febbraio 2018

I meccanismi di difesa come Itroiezione, Proiezione, Identificazione e Identificazione proiettiva di Mariacristina Guardenti

Per far fronte e ridurre tutte quelle turbative che mettono in pericolo l'integrità dell'Io e il suo equilibrio interno soprattutto quando si guarda ai rapporti tra individuo e individuo,  i meccanismi di difesa risultano la migliore strategia adattiva. Attraverso questi meccanismi difensivi l'individuo ritrova la propria forma di equilibrio interiore per realizzare il miglior adattamento possibile di fronte ad una realtà esterna  e/o interna perturbata, la strategia  adattiva mira ad ottenere un bilanciamento sufficientemente buono verso le tensioni che incontra nei vari contesti che lo turbano lo motivano lo rendono ansioso.
Placando la spiacevolezza di ciò che sta sperimentando, attraverso l'alienazione dei contenuti della propria coscienza la persona evita così il contatto con tutti movimenti dolorosi  -affettivi e no- legati a situazioni spiacevoli.
La difesa è stata definita da Freud (1894) come “designazione generale per tutte le tecniche di cui l’Io si avvale nei suoi conflitti che possono eventualmente sfociare nella nevrosi, la difesa utilizza determinati meccanismi che differiscono per il relativo grado di coerenza con la realtà così come viene percepita”. In base a questo principio si distinguono difese egosintoniche se il meccanismo è coerente con le esigenze dell’Io e difese egodistoniche, o come le definisce Fenichel (1945) patogene, quando la funzione egoica di esame della realtà si interrompe per lasciare spazio alla riutilizzazione di modi arcaici di pensare, di percepire, e di rapportarsi alla realtà.
È possibile che ogni meccanismo di difesa si trovi legato ad una fase particolare dello sviluppo, è possibile che ogni tipo di processo mentale sia destinato a controllare un determinato tipo di conflitto, è possibile ancora che le diverse tipologie di personalità corrispondano a determinate gerarchie interne nell’utilizzazione dei vari meccanismi.

Vediamone insieme solo quattro e precisamente l'introiezione, la proiezione l'identificazione e l'identificazione proiettiva 

Introiezione: la prima maniera di elaborare soggettivamente la realtà (la prima attuata nel corso della vita), anche in concreto, è quella di inghiottire (introiettare) le cose accettate o comunque vissute come piacevoli e di sputare (proiettare) le cose non accettate o che si presentano come spiacevoli. Tutto ciò che procura piacere, infatti, tende ad essere originariamente vissuto come appartenente all’Ego, mentre va rifiutato e allontanato tutto ciò che è spiacevole. L’idea di inghiottire un oggetto è il prototipo della soddisfazione istintuale, non di difesa contro gli istinti. Contemporaneamente, l’introiezione è il prototipo del modo di riguadagnare l’onnipotenza anteriormente proiettata sugli adulti, in tal modo l’Ego impara ad usare introiezione come modello per un preciso meccanismo di difesa.
Proiezione: Mentre, in un certo senso l’introiezione è un processo assimilativo, la proiezione è un processo dissimilativo per la prima l’oggetto viene adattato al soggetto, mentre la seconda implica una discriminazione dell’oggetto dal soggetto, attraverso un contenuto soggettivo trasferito nell’oggetto. Un individuo proietta quando compie l’attribuzione di una propria caratteristica o di un proprio stato d’animo a un’altra persona, quando li vive come appartenenti a un altro anziché a se stesso.
Identificazione: sta a significare quel processo psichico per cui un individuo assimila dentro di sé una data immagine mentale di una persona, soggetto, gruppo e pensa, sente, agisce come egli reputa che quella persona, soggetto, gruppo pensi, senta, agisca. Ciò equivale anche a dire che un soggetto assimila un aspetto, una proprietà, un attributo di un’altra persona e si trasforma, totalmente o parzialmente, sul modello di quest’ultima. Sappiamo che l’identificazione è la più primitiva e originaria forma di legame emotivo” scriveva Freud nel 1921, in “Psicologia delle masse ed analisi dell’Io”, descrivendo le forme dell’identificazione primaria, basata sull’acquisizione delle caratteristiche dell’oggetto amato, attraverso un processo di introiezione, sul modello degli istinti cannibalici originari del neonato: un legame emotivo precoce, precedente all’instaurarsi della relazione anaclitica (Nella letteratura psicanalitica, indica la situazione di appoggio di un soggetto, per esempio il bambino, a un oggetto, per esempio la madre.) 
Identificazione proiettiva Si tratta di un concetto complesso, che “illustra la connessione tra istinti, fantasia e i meccanismi di difesa. E’ una fantasia di solito molto elaborata e dettagliata; è un’espressione degli istinti perché sia i desideri libidici che quelli aggressivi sono sentiti essere onnipotentemente soddisfatti dalla fantasia; è comunque anche un meccanismo di difesa nello stesso modo in cui è la proiezione, cioè sbarazza il Sé delle parti non desiderate” (H. Segal, 1967), tenendole al tempo stesso sotto controllo. Ciò permette, inoltre, di evitare ogni consapevolezza di separazione, di dipendenza e di invidia.W. Bion (1959, 1962) sarà il primo ad introdurre una distinzione tra una forma di Identificazione Proiettiva “normale”, ed una “patologica”, mettendo in luce, accanto alla primitiva funzione evacuativa descritta inizialmente da M. Klein, la dimensione interpersonale, comunicativa, che l’identificazione proiettiva contiene.
Con Bion, l’identificazione proiettiva “normale” diventa un’importante modalità di comunicazione non verbale, attraverso la quale l’organismo immaturo riesce a trasmettere sentimenti ed emozioni non ancora nominabili ad un oggetto recettivo. L’effetto che essa produce sull’oggetto che riceve la proiezione, ed il ruolo che esso ha nell’accoglierla e nel modificarla diventano parte fondamentale del fenomeno descritto, ponendo le basi della sua teoria del pensiero.
Da questo legame tra la mamma e il bambino, W. Bion elaborerà il modello “contenitore-contenuto”, che diverrà anche il modello della funzione dell’analista nella relazione terapeutica, e delle “trasformazioni” dell’esperienza emotiva che si producono all’interno di tale relazione.L’Identificazione Proiettiva “patologica”, osservata da Bion attraverso le caratteristiche del transfer di pazienti schizofrenici, si distingue invece per la sua qualità onnipotente ed il grado di violenza con cui la proiezione viene messa in atto.Individui che – a livello di relazione primaria – hanno avuto l’esperienza di un oggetto chiuso alla comprensione e non recettivo rispetto alle proiezioni della propria sofferenza, ricorrono all’uso ipertrofico dell’identificazione proiettiva, per negare la realtà e l’angoscia (Bion, 1959). Attiene al suo interno i concetti di tranfert e contro transfet.