L’applicazione al counseling del modello sistemico ha inizio a partire dagli anni ’60 con influenze del pensiero umanistico e gestaltico, cibernetico e strutturalista. Il counseling sistemico si svolge sempre contestualmente alla situazione biologica,antropologica, sociale, politica, storica, dove l’interazione o la reciprocità degli elementi del sistema -punteggiate da credenze e comportamenti individuali- è sempre al centro del processo di counseling.
Questo indirizzo osserva le transazioni tra diversi livelli: individui - gruppi - sistemi - reti di sistemi. Il focus è sull’interazione, la circolarità, e il grado di accordo psicologico e sociale (equilibrio tra capacità/aspettative dell’individuo e richieste/risorse della rete sociale), dei diversi livelli.
Le situazioni sociali complesse, critiche che si evolvono in conflitti, conducono aspetti problematici che possono essere affrontati sviluppando risorse sistemiche poiché ogni crisi deve essere accolta come opportunità di transizione e occasione di cambiamento.
Nella teoria sistemica l’accento primario viene posto sull’importanza della famiglia come sistema primario, in cui il comportamento individuale si riflette come reazione alla struttura sociale del “sistema famiglia”. La qualità della vita di una persona nonché la sua salute biologica, fisica e psicologica è profondamente correlata al funzionamento ed ai processi della famiglia in cui vive.
Freud già mostrava interesse sui meccanismi e i fattori familiari che provocano disfunzioni emozionali, i problemi fobici del piccolo Hans (Freud 1908-Il Caso del piccolo Hans) furono affrontati dallo psicoterapeuta allenando il padre a porre domande al figlio durante il trattamento (Freud vide il piccolo paziente una sola volta), un metodo non molto lontano da quello che un moderno terapeuta familiare potrebbe proporre.
Interesse ed attenzione al tema familiare furono posti anche da Adler per la diagnosi e i trattamento delle emozioni nei bambini (Adler 1931),dove ipotizza che padre e madre non dovrebbero distanziarsi troppo nello stile educativo del figlio cosicché il bambino possa interiorizzare il concetto di cooperazione che potrà poi riprodurre all’esterno della famiglia e sviluppare con un adeguato sentimento sociale.
La famiglia come correlata al benessere emozionale dei suoi membri ha attraversato interpretazioni diverse. Da un periodo in cui i problemi emozionali dell’individuo erano percepiti come difetti neurologici o morali in cui la famiglia era vittima del componente disfunzionale a quando i modelli psicologici videro la famiglia come causa di carenze educative.
Sollecitati dall’evoluzione socioculturale del dopoguerra e insoddisfatti circa i risultati delle pratiche terapeutiche in psichiatria e psicoanalisi, alcuni terapeuti avevano cominciato a porre sotto osservazione il gruppo sociale con cui il paziente psichiatrico era in relazione, primariamente la famiglia, e a trattare i problemi psichiatrici come espressione di una disfunzione nelle relazioni familiari. I ricercatori avevano spostato l’interesse sulla sfera sociale per una crisi delle istituzioni e l’aumento delle malattie mentali, spostano l’attenzione sulla “struttura che connette” (Bateson, 1979) i diversi settori della conoscenza (dalle scienze matematiche/ naturali a quelle umane); introducono un modello di “causalità circolare” e studiano i sistemi in quanto «totalità organizzate».
Infatti negli anni ’50 in America e più precisamente: si avvicendano psicoanalisti come Ackerman, Boszormenyi-Nagy, Bowen, Whitaker (New York, Filadelfia); e ricercatori e clinici sistemici come Bateson, Watzlawick, Jackson, Haley (California, Palo Alto). Gli studi erano costruiti sull’osservazione di pazienti psichiatrici ospedalizzati, nell’interazione con le loro famiglie; soprattutto gli studiosi del West Coast (California, Palo Alto) guardano l’applicazione delle scienze tecnologiche ai sistemi umani, in particolare al modello cibernetico. Nascono qui i concetti di modelli cibernetici (attraverso lo studio sviluppo e applicazione in psicoterapia familiare di concetti quali: sistema, feedback, varietà, vincolo, entropia, informazione, circolarità, auto-organizzazione, omeostasi, morfogenesi) e la Teoria Generale dei Sistemi, così come formulata da Von Bertalanffy (1968); inoltre si agganciano alle Teorie della Comunicazione ed alla Teoria del Doppio Legame (incongruenza tra livello verbale e non verbale)
Attualmente i progressi della psichiatria biologica e della neuropsicologia considerano la schizofrenia o la depressione come origine/causa genetica e riconoscono alla famiglia che il disturbo prolungato provoca stress a livello sistemico; altri approcci sistemico-fenomenologici guardano al disturbo del singolo come un disagio sistemico che si regge sull’elemento malato.
Qualsiasi sia l’attenzione posta al metodo il focus prima concentrato sull’elemento singolo portatore di disturbo si sposta sull’interazione sociale coinvolgendo le persone circostanti in cui il Sistema (il tutto) è maggiore della somma delle sue parti ; nella “Teoria generale dei sistemi” Von Bertalanffy (anni ’30) seguendo il filone della psicologia relazionale statunitense degli anni ’50 che introduce un approccio interdisciplinare ai problemi delle persone, afferma che “ogni organismo è un sistema” le cui parti sono sempre in interazione reciproca, per cui ogni fenomeno non può essere considerato la somma delle sue parti scomponibili (causa-effetto) ma deve essere letto in una prospettiva globale e olistica. Ogni componente del sistema è interconnesso con l’altro e avrà influenza ed effetto sull’altro in tutto ciò che gli accade. Solo così diventa possibile accedere e leggere il funzionamento di ogni elemento e le dinamiche del sistema che sottostanno alle relazioni affettive di ciascuno. In questa prospettiva la famiglia viene vista finalmente come un'entità complessa che possiede caratteristiche, regole e precetti propri su cui modella se stessa e gli altri membri.
La Teoria dei Sistemi si sviluppa studiando il modo in cui i componenti di un insieme sono in relazione tra loro e caratterizzano la loro organizzazione. Ogni cambiamento che intercorre nelle relazioni del sistema può ampliare o diminuire la tensione, nel momento in cui un membro dello stesso cambia equilibrio disattendendo norme, regole e tradizioni o quando sviluppa sintomi biopsicologici che necessariamente coinvolgono ogni altro membro della famiglia.
Gregory Bateson con i suoi colleghi tra il 1950 e il 1960 definirono la famiglia come un sistema dinamico di relazioni interdipendenti, grazie ad uno studio condotto sui modelli (pattern) di comunicazione familiare. Antropologo studioso di cibernetica,di etologia, di evoluzione ed ecologia era interessato non tanto ad una terapia da applicare ma alla scienza della comunicazione e dell’interazione tra parti di uno stesso sistema. Insieme ad John Weakland e Jay Haley studiò a lungo i pazienti schizofrenici nell’ospedale di palo Alto ed elaborò il concetto di “doppio legame” (dove il messaggio esplicito di una comunicazione viene contraddetto da quello implicito o meta messaggio) per descrivere la “vittima che nella famiglia riceve messaggi contraddittori. In passato il doppio legame era considerato un fattore familiare determinante la schizofrenia dei bambini, questo atteggiamento impedisce una fuga dal campo chiedendo anche una risposta: “se non obbedisci a ciò e al contrario di ciò sarai punito”, qualsiasi sia la scelta vi sarà una punizione con il risultato di esperire ansia, frustrazione, confusione, scarsa capacità di fronteggiare situazioni problematiche o stressanti (scarsa capacità di coping).
Questo approccio però guarda soltanto le sequenze dei comportamenti che precedono e seguono il sintomo annullando la dimensione temporale, esiste solo il presente e si trascura la storia dell’individuo e della famiglia. Il qui ed ora è sicuramente importante come lo sono però anche i modelli multidimensionali o trans generazionali.
“La famiglia è un organismo vivente che si sviluppa e adatta costantemente all’ambiente che cambia” (S.Minuchin, 1972, Manuale di Terapia della Famiglia). Concetto centrale, che il counseling sistemico tiene presente nel suo approccio è che le persone pur se dipendenti da un gruppo di riferimento sono altresì libere di rispondere in modi diversi agli stimoli ambientali. La famiglia dovrebbe essere il centro di sviluppo dove l’individuo può essere dipendente o autonomo e dovrebbe avere una funzione di sostegno educazione e socializzazione, in quanto sistema socioculturale aperto che si adatta continuamente ai cambiamenti interni ed esterni.
La famiglia diviene disfunzionale (Minuchin 1980) quando impedisce la capacità di adattamento e rimane in un comportamento stereotipato atto a mantenere inalterato il sistema, non riconosce cioè la possibilità di modificare quei modelli relazionali che cessano di soddisfare i suoi membri, al contrario tende per inerzia ad aderire a modelli obsoleti, in cui comportamenti alternativi sono percepiti come minaccia alla struttura familiare e quindi rifiutati. Vi è un “evitamento del conflitto” (quando in una transazione due persone evitano di provocare a se stesse ed all’altro il dolore di una soluzione); un invischiamento, l’iperprotettività, la rigidità e l’incapacità di affrontare le differenze per contrattare una soluzione, dove il sintomo serve a deviare i membri dal vero conflitto. Afferma anche che il sintomo assolve alla funzione omeostatica del sistema e, al tempo stesso, è anche una spinta al cambiamento; ciò significa che mentre la famiglia ne facilita la comparsa, contemporaneamente il sintomo tende a mantenere in vita le sue caratteristiche disfunzionali.
D. N. Stern sostiene nel suo libro “ Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana” (edito nel 2003 e tradotto in italiano nel 2005) che l’intersoggettività (la coscienza intersoggettiva richiede due menti: un soggetto ha avuto un'esperienza ed essa viene sentita direttamente, attiva la medesima esperienza in un altro soggetto grazie la condivisione intersoggettiva, siamo alle soglie dei neuroni specchio che sono stati scoperti dopo la pubblicazione del libro), è un sistema motivazionale innato ed essenziale alla sopravvivenza della specie, non meno importante rispetto alla sessualità o all’attaccamento. Così come il bambino per assicurarsi la sopravvivenza alla nascita fa di tutto per ricercare e garantirsi una prossimità fisica, una vicinanza con il caregiver, parallelamente è capace di agganciarsi alla mente del caregiver provocando un cambiamento nelle risposte dell’adulto: la sintonizzazione degli affetti prende il posto dell’imitazione. Mentre l’imitazione mantiene il focus dell’attenzione sul comportamento esterno, i comportamenti di sintonizzazione sono necessari per spostare l’attenzione verso l’interno, verso la qualità del sentimento che viene condiviso (Stern 1984). Secondo Stern il sintomo del bambino può essere letto come il segnale d’allarme di un disagio profondo in tutti i membri della famiglia, in termini di funzionalità all’interno del sistema emozionale della famiglia, come catalizzatore su di sé della tensione in un momento particolarmente rischioso per la stabilità dell’intero gruppo allo scopo di mantenere stabile e coeso il gruppo stesso.
Ackerman (Ackerman N. W., 1988) uno di pionieri della terapia familiare, sostiene che un modo per mantenere inalterata una struttura familiare disfunzionale è quello di scegliere un suo componente e farlo diventare “il problema”. È lui che conia la metafora del bambino come “capro espiatorio” della famiglia, ipotizzandone il ruolo patogenetico e considerando il bambino che manifesta la sofferenza come la vittima di un contesto familiare disfunzionale. La famiglia per lui diventa come una “membrana semipermeabile” dove avvengono scambi selettivi costanti e continuativi nel tempo, intra ed extra involucro. Ackerman anche se risente del modello psicoanalitico per la lettura delle relazioni familliari, introduce una prospettiva intergenerazionale ancorché influenzata dal contesto. I processi inconsci familiari si riversano in una sintomatologia dell’individuo scelto appunto come “capro espiatorio”, il soggetto coinvolto per adattarsi al disgregarsi delle regole, dei legami e anche della stessa stabilità emotiva degli individui della famiglia, come meccanismo di difesa adotta l’introiezione intrapsichica del conflitto; quindi la strategia sarebbe il recupero del conflitto intrapsichico per portarlo a livello relazionale.
Il genogramma familiare introdotto da Murray Bowen (Teoria Generale dei Sistemi: teoria sullo sviluppo
della famiglia e del suo funzionamento attraverso le generazioni) diventerà la mappa trigenerazionale della famiglia, all’interno del quale osservare la composizione della stessa nell’arco di almeno 3 generazioni, con gli eventi più significativi (nascite, morti, legami, separazioni). Il genogramma è uno strumento di grande efficacia per il counselor sistemico che può avere nel qui e ora una fotografia dell’andamento familiare, una istantanea diretta, senza mediazione cognitiva da parte del cliente/utente.
Le lealtà invisibili di Ivan Boszormenyi-Nagy che permeano la dimensione relazionale della famiglia. Integra lo sviluppo individuale con le dimensioni esistenziali, sistemiche ed intergenerazionali della vita familiare. Lo studioso sostiene che ogni membro ha una posizione nel sistema familiare che comporta obblighi, impegni e meriti. Rispettare il valore e l’importanza di ognuna di queste istanze determina il benessere o meno dell’intero gruppo. Esercitare una “lealtà” verso le norme della famiglia consente ad ogni componente di legare la propria vita a quella dei contemporanei, degli antenati e di trasmetterla alla posterità. Contrastare o sovvertire gli obblighi della famiglia può generare un senso di colpa insostenibile, esteso e apparentemente non comprensibile, perfino dell’esistenza stessa.
Guardando ad un ottica pluralistica integrata, il counselor sistemico può guardare a questi autori ed ai loro modelli riassumendo le singole posizioni in un ottica in cui la soggettività individuale non sia mai messa tra parentesi, dove l’individuo si trova sollecitato a riparare antichi tagli emozionali, per ricomporsi o differenziarsi da legami di dipendenza tra le diverse generazioni, in modo da poter vivere pienamente il presente e le relazioni del momento in un modo autentico, non più trattenuto da ostacoli, proibizioni, mandati e copioni intergenerazionali.
Il counselor sistemico, si adopera per facilitare il cambiamento nel rispetto dell’individualità di ogni membro familiare cercando di coinvolgere la collettività (in questo caso la famiglia) in una relazione empatica ed accogliente in modo da poter favorire il riconoscimento degli aspetti disfunzionali dei modelli e degli stili di comportamento. Il fatto ad esempio che alcuni counselor sistemici preferiscano strutturare i primi incontri soltanto con la coppia genitoriale, comunica loro che la forza e la struttura del sistema sono fondati su questa diade padre madre, in cui successivamente potranno essere inclusi anche i figli; altri counselor sistemici preferiscono inserire immediatamente sin dai primi incontri la prole, soprattutto nelle coppie altamente disfunzionali proprio per equilibrare l’interazione. Spesso il counselor sistemico e la famiglia scelgono una serie di obiettivi funzionali che diventano il centro delle attività della relazione, anche se la maggior parte delle famiglie che si avvicinano al counseling ha già attribuito la responsabilità ad un elemento preciso della famiglia il cosiddetto “paziente designato”.
Si arriva alla fine del percorso quando tutti i membri avranno appreso metodi di comunicazione efficaci e soprattutto congruenti, insegnando ai familiari che essi sono responsabili delle loro azioni e che possono determinare il loro comportamento futuro senza necessariamente sottostare ai modelli passati, consapevoli che i ruoli disfunzionali possono essere trasformati in altri più adattivi e funzionali.
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