domenica 28 settembre 2014

V.I.S.S.I.con il C.U.O.R.E.nell'A.R.T.E. dell'A.S.C.O.L.T.O. a cura di Mariacristina Guardenti


LINEE DA SEGUIRE DURANTE IL COLLOQUIO CON IL CLIENTE
L’Empatia di cui abbiamo già parlato e di cui continueremo a parlare anche successivamente e’ la focalizzazione sul mondo interiore del cliente; è la capacità di intuire come si senta in una situazione e cosa realmente provi al di la di quello che esprime verbalmente; e’ riuscire a percepire la dimensione del cliente come se fosse la propria senza perdere di vista il “come se”.  Strumento Empatia non per consolare o approvare il cliente ma per aiutarlo a riflettere su ciò che sta accadendo. E’ quindi IMPORTANTE durante la seduta controllare quello che il cliente dice, verificandone la comprensione. Questo passaggio fondamentale e’ chiamato RIFLESSIONE DEL CONTENUTO o come abbiamo visto sopra RIFORMULAZIONE. La riformulazione può avvenire in vari modi: ripetendo le stesse parole usate dal cliente, parafrasando, cioè ripetendo con parole diverse quello che e’ stato detto dal cliente, riepilogando, cioè facendo un riassunto del racconto del cliente, facendo eco, cioè ripetendo le ultime parole dette dal cliente.

 
E’ a questo punto che è necessario stare attenti a non cadere nel trabocchetto del V.I.S.S.I :

Valutazione => significa che la risposta del Counselor implica un’opinione etica personale e comporta un giudizio (di critica o approvazione) nei confronti del cliente. Questo modo di intervenire induce ribellione, inibizione, colpevolezza o compiacenza o angoscia. Solitamente quando valutiamo definiamo ciò che è giusto o sbagliato secondo nostri modelli di riferimento, che non è detto siano gli stessi di chi stiamo ascoltando, e quindi attraverso la valutazione tendiamo a leggere la sua realtà con i nostri occhi. Inoltre ci permettiamo di dare dei giudizi di merito, troppo spesso utilizzando i nostri metri di valore.

Interpretazione => quando le risposte cercano un significato “altro” rispetto a ciò che viene detto. In questo caso il Counselor deforma il pensiero del cliente operando una distorsione in rapporto a ciò che l’altro voleva dire orientando il cliente verso ciò che sembra essenziale lui e rischiando, in tal modo, il blocco dell’auto esplorazione. Questo modo di intervenire induce resistenza, irritazione, disinteresse. Quando ci permettiamo di leggere la realtà secondo il nostro punto di vista, di vedere connessioni univoche fra azioni e contenuti, proponiamo nostre strade invece di accogliere quelle dell’altro.

Sostegno => le risposte del Counselor mirano ad apportare incoraggiamento, consolazione e compensazione, l’atteggiamento è molto conciliante volto a minimizzare l’accaduto. Induce nell’altro dipendenza e sottomissione, apatia e non assunzione delle proprie responsabilità. La pacca sulla spalla o le frasi di convenienza tipo: “dai, tanto passa presto”, oppure “ ma tu sei forte, saprai cavartela…” hanno il risultato di minimizzare il sentimento che viene espresso e non dare il giusto valore a chi sta parlando.

Soluzione => le risposte del Counselor tendono a giungere ad una soluzione immediata del problema, incitando all’azione in modo da “sbarazzarsi” velocemente del cliente e delle sue lamentazioni. Questo atteggiamento rischia di bloccare nel cliente il con-tatto con ciò che viene provato e di conseguenza il con-tatto con le sue risorse. Induce sgomento, ansia da prestazione. Anche qui si parte da noi stessi invece che dall’altro, si forniscono risposte che (forse) potrebbero andare bene a noi, ma non sono emerse da parte di chi sta parlando. A volte siamo così convinti delle nostre risposte che ci arrabbiamo pure se l’altro non mette in pratica i nostri consigli, ci sentiamo delusi…..

Indagine => le risposte del Counselor sono indagatrici, volte a saperne sempre di più orientando il colloquio verso ciò che sembra importante per il Counselor, come se accusasse l’altro di non voler dire l’essenziale o di perdere tempo. Induce difesa e reazioni ostili.  Facendo domande per “saperne di più” distogliamo l’attenzione da ciò che l’altro ci racconta in quel momento, lo facciamo divagare, magari interrompendo l’emozione che stava emergendo dal suo racconto.

 

L’antidoto al  V.I.S.S.I è il ... C.U.O.R.E. nell’ A.R.T.E. dell’ A.S.C.O.L.T.O.

 

Comprensione => le risposte del Counselor riflettono il tentativo di entrare sinceramente nel problema così come esso è vissuto dall’altro. Assicurandosi, prima di tutto, di aver capito bene quello che è stato detto. Questo atteggiamento dà fiducia al cliente e fa si che questo si esprima maggiormente e continui nella sua auto esplorazione sicuro di essere ascoltato attivamente senza pregiudizi.

Uscire da Sé => inteso come accettazione incondizionata, uscire fuori dai propri schemi mettendosi nei panni dell’altro anche se mi sta comunicando cose che posso anche non condividere. Questo atteggiamento aiuta il cliente al valore della diversità di vedute ed opinioni.

Oggettivare => significa contestualizzare quello che ci viene portato dal cliente dando risposte orientate alla presa d’atto dei dati concreti piuttosto che alle deduzioni.

Riformulare => o Riflettere il contenuto , le risposte del Counselor rimandano come in uno specchio quello che l’altro sta comunicando per offrire l’opportunità di un auto chiarimento e per trovare consapevolezza.

Empatizzare => le risposte del Counselor riflettono la sua capacità di mettersi nei panni dell’altro vibrando stati d’animo analoghi a quelli del cliente. Questo permette all’interlocutore di sentirsi accolto favorendo l’autoesplorazione e la capacità di fidarsi della sua naturale energia che ha una direzione fondamentalmente positiva recuperando l’innato bagaglio personale di risorse.

Nell’ A.R.T.E. dell’ A.S.C.O.L.T.O.

Accogliere => l’altro senza nessuna idea preconcetta. Il primo incontro non si scorda mai, non solo, ogni seduta prevede un pre contatto, un inizio. Importante ricordarsi di essere gentili e sinceramente cordiali.

Rispettare => le sue parole e le sue emozioni. Riformulando ciò che abbiamo ascoltato per essere sicuri di aver capito e farlo comprendere all’altro. Il rispetto è un buon collante per ogni relazione.

Tacere => Tra SILERE e TACERE vi è una netta distinzione da fare. Silere corrisponde all’affermazione del silenzio, Tacere alla negazione del suono. C’è un rapporto tra ascolto e silenzio e non solo perché in un dialogo al diritto della parola corrisponde un obbligo di tacere, per rispettare il proprio turno, ma anche perché la condizione di silenzio, permette di ritrovare una percezione di sè stessi e del mondo che ci circonda, per ascoltare meglio.

Empatizzare =>con le sue emozioni senza cadere nell’immedesimazione. Empatia non è simpatia, poiché è abilità di percepire direttamente ed in modo esperienziale le emozioni di un’altra persona “quasi” come lei le sente, indipendentemente dal condividere la sua visione delle cose.

Accettare => qualsiasi cosa venga detta. Accettare non vuol dire condividere, ma dare spazio. E’ abbattere le aspettative riguardo ai cambiamenti degli altri, è rendere fiducia e responsabilità all’”altro”, in questo caso il cliente.

Sospendere =>  ogni tipo di giudizio per avvicinarsi all’alterità del cliente significa anche riconoscere le proprie emozioni di counselor derivanti dalla relazione; significa ad esempio accogliere la propria rabbia di fronte alla paura altrui, ammettere la propria paura quale specchio di una rabbia esterna, riconoscere in sè la tristezza sperimentata a cospetto della tristezza o paura dell’interlocutore. Sospendere il giudizio implica, essere pienamente consapevoli dei propri valori, convinzioni, idee ed opinioni.

Comprendere => le emozioni e i sentimenti senza utilizzare i nostri filtri e senza farsi coinvolgere, che conduce a riconoscere l’altro per ciò che è, vale a dire a definirlo al di fuori di ogni proiezione del proprio mondo nel suo di cliente.

Osservare => anche tutti gli aspetti non verbali che aiutano a comprendere meglio cosa c’è dietro alle parole. Anche quando stiamo zitti, abbiamo un corpo che “spiffera” continuamente quello che pensiamo o proviamo. Non c’è parte di noi che non comunichi qualcosa: perfino la direzione dei piedi o la loro postura o il colorito dell’addome possono tradire dei messaggi. Naturalmente, ci sono parti più chiacchierone e parti meno espressive; al riguardo, sicuramente la “palma” dell’esuberanza spetta al volto: una miriade di muscoli possono animarsi per dare luogo ad un’espressione e segnalare le più’ sottili sfumature di un’emozione.

Lealtà => nell’espressione del proprio sentire. Restare se stessi. Non fingere per far piacere a chi parla. Ciò che si raccomanda è di non fingere di capire quando non si capisce; o viceversa di fingere di non capire ciò che non è in sintonia con idee personali.

Tollerare=>le differenze individuali, le frustrazioni, le ambivalenze , il conflitto e l’elasticità nei comportamenti guardando ad essi con dedizione ed accoglienza poiché fanno parte dello stupore del mondo.

Offrire => se stessi come specchio delle emozioni che hanno bisogno di venire fuori:  Offriamo la  possibilità al cliente di esternare i vissuti personali senza che essi modifichino la ricettività pulita ed equilibrata del nostro essere counselor. L’insegnamento rogersiano sulla congruenza, ossia la capacità del counselor di rispondere al cliente in modo coerente con le proprie sensazioni ed emozioni, tollerando l’errore, la distrazione o la possibilità di non aver compreso, consentono alla sua funzione specchiante di rendersi compatta, ossia priva del rischio che la propria “maschera professionale” e la sua intolleranza verso l’errore diventino arma di distorsione di questo specchio, che potrebbe restituire al cliente un’immagine di Sé errata.

GUARDATI DA CHI HA SEMPRE UN CONSIGLIO PER TE

Chi chiede ascolto ha bisogno di trovare uno spazio in cui potersi esprimere e quindi indagare il proprio sè interiore.  Quasi sempre non ha bisogno di consigli, suggerimenti, giudizi, incoraggiamenti, ha bisogno semplicemente di sapere che esiste qualcuno che lo accetta esattamente per quello che è, è pronto ad accoglierlo  e non vuole cambiare nulla di lui. Solo in questo setting, luogo di ascolto, accogliente il cliente sperimenterà la possibilità di decidere un percorso di autoconoscenza per prendere contatto, conoscere e valorizzare le proprie risorse interne.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Counseling nella relazione d’aiuto, di S. Murgatroyd, ed. Sovera

L’arte di aiutare, di Robert Carkhuff, ed. Erickson

L’arte del counseling, di Rollo May, ed. Astrolabio

Guida al Counseling, di Meier & Davis, ed. Franco Angeli

Terapia centrata sul cliente, di Carl Rogers, ed. La Nuova Italia

 

Gazda, Sviluppo delle relazioni umane, Ifrep, Roma 1991;

Giusti, Locatelli, L’empatia integrata, Sovera, Roma 2000;

Giusti, Lazzari, Psicoterapia interpersonale integrata, Sovera, Roma 2003;

Giusti, la clinica del transfert in psicoanalisi e in psicoterapia del gestalt, Ed Kappa, Roma 1991;

Rivista Integrazione nelle psicoterapie e nel counseling, n 9/10- 2001;

Scilligo, Io e tu, Vol I, Parlare capire e farsi capire, Ifrep, Roma 1991;

Scilligo, Io e tu, Vol II, Ascoltare rispondere e cambiare, Ifrep, Roma 1993.

Gabriella Costa http://ri-trovarsi.myblog.it/2009/04/16/counseling-batte-il-cuore-ma-non-vissi/

IL COUNSELOR NEL CONFLITTO a cura di Mariacristina Guardenti 27 settembre 2007


IL COUNSELOR NEL CONFLITTO

Ci rivolgiamo non solo a Counselor o a Mediatori Familiari ma tutti coloro che vogliono vivere in quotidianità  con VOGLIA di PACE per acquisire una maggiore consapevolezza nel gestire i conflitti propri e altrui producendo minor danno e dolore; affinché i conflitti, fuori e dentro di noi, in famiglia come nel sociale, non diventino momenti brutali di sopraffazione e di animosità degli uni contro gli altri, in assenza di dialogo e confronto civile, rispettoso  delle differenze di opinione, di religione, di razza, sesso e cultura. Poiché è responsabilità collettiva promuovere un cambiamento culturale e sociale. Siamo immersi nei conflitti in casa: tra sessi e generazioni diverse.  Fuori casa: nella scuola, nel lavoro, per strada, nel quartiere.  Ci confrontiamo con vari tipi di conflitto, talora tra livelli decisionali o gerarchie sociali diverse, talora con nostri simili o con coloro che ci sembrano troppo diversi. Siamo in conflitto anche con noi stessi quando dobbiamo prendere una decisione difficile o che contrasta con una parte di noi. Ma che cosa è il conflitto?Il conflitto è una contesa, una opposizione, un contrasto di opposti desideri, tendenze, interessi. Questo contrasto fa parte della nostra vita e della nostra storia Uno degli psicologi che ha avuto maggiore influsso sugli studi e le applicazioni legate alla comunicazione interpersonale ed alla gestione del conflitto è senz'altro (Thomas Gordon. “I conflitti non sono né buoni né cattivi”. Il vero problema, non è tanto l'esistenza dei conflitti in sé, quanto il numero di conflitti non risolti ed i metodi impiegati per risolverli.)Tutto dipende dalle strategie usate per la loro gestione: se si usano strategie costruttive e si coopera per arrivare ad una soluzione condivisa da entrambi o per lo meno soddisfacente, allora il conflitto sarà stato positivo. Vediamo come questo contrasto tra due o più individui si manifesta. quando i comportamenti dell'uno interferiscono con i bisogni dell'altro. quando c'è una discordanza in termini di valori. In sostanza, pensiamo al conflitto come se fosse una partita, in cui una parte è quella vincente e l'altra la perdente.Probabilmente questa visione deriva dal contesto sociale in cui viviamo, improntato all' individualismo e alla competitività.Nessuno può negare l'importanza che abbiano individualismo e spirito competitivo nella nostra vita quotidiana. L'individualismo inteso nel senso di libertà di scelta e di auto-determinazione, cioè di poter decidere sui fini della propria vita è senz'altro positivo. D'altro canto, un sano spirito competitivo è essenziale per la nascita e lo sviluppo di nuove idee, soluzioni, invenzioni che rappresentano benefici per l' intero pianeta. Tuttavia, se si osserva bene la storia dell'umanità si potrà notare che l'elemento che ha permesso la sua evoluzione è stata senz'altro la capacità di cooperare, caratteristica della specie umana. La cooperazione è il motore dello sviluppo, è ciò che rende possibile che l'esigenze di tutti vengano tenute in considerazione e vengano soddisfatte. Questa logica della cooperazione deve anche applicarsi ai conflitti interpersonali. Ogni volta che entriamo in disaccordo con gli altri non chiediamoci: chi ha ragione ma: come trovare una soluzione che possa soddisfare entrambi e quale soluzione risulta vincente per entrambi. Perché o si vince insieme o non si vince affatto.

       ATTEGGIAMENTI NON CORRETTI PER GESTIRE UN CONFLITTO

       Cancellazione quando non si menziona affatto che esista un problema

       Distorsione non ritenersi responsabili del problema, poiché lo si attribuisce a cause esterne

       Generalizzazione dire all’interlocutore frasi tipo: “ sei sempre il solito”..”tu non vieni mai” generalizzando comportamenti che magari l’altro non sempre manifesta

       Distrazione iniziare una accesa discussione, rifugiarsi nelle dipendenze, guardare troppa Tv, fuggire, etc.

       Finzione fingere sentimenti che non si provano per evitare di avvertire quelli che si sentono veramente(la rabbia ad es è un emozione che spesso sostituisce il dolore)

       Negazione non sentire nulla e non sapere nulla a proposito di ciò che comunica l’interlocutore.

       Distrazione e Negazione sono atteggiamenti accompagnati spesso da una dipendenza ad alcool o stupefacenti

       Distanziamento nel senso di prendere le distanze dal “problema”, essere mentalmente altrove…

       Acting-out esprimere compulsivamente con l’azione (insieme di azioni aggressive con difficoltà di controllo ,rompere oggetti, percuotere qualcuno …)

       Parlerei di acting-out come diretto ad interrompere l'acquisizione di insight ; oppure un agire  un impulso che non ha mai potuto esprimersi verbalmente perché o troppo intenso  o perché la persona manca di inibizione, quasi un’area intermedia tra linguaggio ed espressione di uno stress

ATTEGGIAMENTI POSITIVI PER RISOLVRE UN CONFLITTO

Distanziarsi emotivamente dalla spirale negativa di attacchi e contro-attacchi di cui un conflitto è spesso costituito.

               Trucchi: respirare in modo semplice , lentamente e profondamente. Cercare di vedere la scena del conflitto da lontano come osservatori in cima ad una montagna o su di un balcone. Questo permette di non rimanere intrappolati

Rimanere focalizzati sui nostri veri obiettivi nel breve e lungo periodo, spesso perdendo di vista il problema vero si divaga in una spirale senza fine, di recriminazioni reciproche e distruttive. E’ bene invece rimanere focalizzati sul problema che causa il conflitto e lavorare insieme alla sua soluzione

Immaginare il proprio interlocutore coinvolto nel conflitto come un potenziale alleato. In questo caso è utile visualizzare una situazione del genere: noi ed il nostro interlocutore ci troviamo su un isola deserta e dobbiamo cooperare per continuare a sopravvivere

Concentrarsi su obiettivi positivi per il presente e per il futuro, invece di colpevolizzare l’altro per errori passati. Una corretta gestione del conflitto mira a creare migliori condizioni per il presente ed il futuro, non a rimproverare, rimpiangere o lamentarsi per ciò che è passato.

Formulare delle richieste specifiche, invece che criticare l’interlocutore o affibbiargli etichette negative tipo “sei un irresponsabile” “sei un disonesto”… suggerire esattamente all’altro che azioni concrete vogliamo che intraprenda, invece che criticarlo negativamente

Anche nelle migliori relazioni si hanno conflitti. I problemi sorgono quando le persone coinvolte non hanno strumenti adeguati per far fronte al conflitto. Affrontare e gestire efficacemente un conflitto implica grandi capacità di ascolto, apertura, flessibilità, creatività e maturità emotiva.

Per Joan Galtung, riconosciuto come il fondatore dei moderni studi sulla pace, i conflitti presentano 3 componenti che costituiscono l’A B C del conflitto

       Attitudes                    atteggiamenti

       Behaviors                   comportamenti

       Contradictions          contrasti di interessi

                Risoluzioni

       per A                           empatia

       Per B                            non – violenza

       Per C                             creatività

CONFLITTO INTRAPERSNALE Le cause del conflitto intrapersonale (Vincenzo Majer, 1995 PROF. ORDINARIO DI PSICOLOGIA UNIVERSITA’ DI FI) sono prevalentemente di tipo strutturale: 

1. incompatibilità persona/compito

2. incompatibilità tra bisogni della persona e obiettivi organizzativi

3. richieste eccessive da parte dell'organizzazione rispetto alle reali capacità della persona; 

CONFLITTO INTERGRUPPALE I fattori che causano conflitto intragruppo sono legati a: 

1. stile di leadership autoritario 

2. struttura del compito complessa

3. grandi dimensioni dei gruppi di lavoro (creazione di sottogruppi con finalità contrastanti); 

4. composizione eterogenea dei gruppi negli atteggiamenti, valori, interessi, stili interpersonali;

 5. risultati negativi in ambienti ad elevata competitività interna

Il nostro stesso sviluppo come persone adulte, legato alla crescita e all’evolversi della personalità è segnato spesso da conflitti:  perché la realtà può contrastare con i nostri desideri e convinzioni;  ci limita e quindi “ridefinisce” il nostro modo di essere, le nostre tendenze

GESTIRE EFFICACEMENTE I CONFLITTICosa permette all’altro di esprimere il suo disagio e favorisce l’attivazione di risorse adeguate per superarlo? ASCOLTO ATTIVO in 4 passi

Ø  Passo 1 ascolto passivo si ascolta l’altro in silenzio e senza interromperlo, permettendogli di esprimersi

Ø  Passo 2 messaggi di accoglimento verbali(ti ascolto, sto cercando di capire), sia non verbali(cenni del capo, protendersi…)

Ø  Passo 3 inviti verbali “spiegami meglio … dimmi … fammi capire se ho compreso bene … correggimi se sbaglio...“per fargli approfondire quanto dice senza valutazioni o giudizi.

Ø  Passo 4 riflettere il contenuto dell’altro attraverso parole proprie per verificare la comprensione del messaggio il messaggio implicito inviato è il seguente:”ti considero, ti comprendo e ti accetto come persona, al centro ci sei tu… io sono qui per ascoltarti”

Ø  Vediamo se ho ben capito …

Ø  Quindi mi stai dicendo che ...

Ø  Secondo te allora …

Ø  Dal tuo punto di vista quindi…

                Questa tecnica  permette a chi esprime un messaggio di sentirsi compreso e non giudicato, pertanto è il miglior antidoto alla nascita e allo sviluppo di conflitti distruttivi. Un conflitto anche se “doloroso” o “faticoso”, segna comunque la nostra crescita ad un livello più complesso di comprensione della realtà.  Ogni conflitto può segnare anche un cambiamento del modo di porci in e con il mondo in genere. Quando dobbiamo fare i conti con gli altri noi ridefiniamo sempre la nostra identità attraverso le relazioni che ci legano con il mondo che ci circonda.  Talora è talmente faticoso che lo facciamo solo quando siamo costretti dai conflitti che ci “propongono” o impongono gli altri. Il conflitto è comunque uno stato della relazione in cui si presenta un problema (contenuto del conflitto)  che crea disagio emotivo e che può evolversi a volte in vera e propria “rabbia”. La rabbia Arrabbiarsi è naturale e questo capita spesso quando siamo immersi in un conflitto con noi stessi o con gli altri. E’ un sentimento, la rabbia, ed i sentimenti sono spontanei, talora irrefrenabili come fiumi in piena. Spesso a carattere esplosivo e temporaneo. I nostri antenati per sopravvivere dovevano lottare e non avevano scelta, i pericoli erano in agguato e guai se non si fossero arrabbiati. Quando accadeva il loro corpo si preparava ad attaccare così erano pronti a cacciare, ad aggredire, a difendersi. La paura li aiutava a scappare quando la situazione diventava troppo rischiosa Anche oggi quando ci arrabbiamo o ci spaventiamo il nostro corpo si comporta nello stesso modo: mette in circolo alcuni ormoni “messaggeri” che danno l’ordine al nostro cervello e questo al nostro corpo, di preparasi a combattere o a fuggire. Una sorta di sirena d’allarme per fronteggiare una situazione che richiede tutte le nostre fisiche e mentali. Il cuore batte forte, le guance diventano rosse, la pancia è in subbuglio, le mani prudono e ci sembra di essere una sorta di vulcano in eruzione. Questo modo di stare arrabbiati nei conflitti ci fa sentire anche molto “vivi”, ci mette in contatto con le radici profonde dell’albero della nostra esistenza, col senso delle nostre scelte, della nostra identità nei confronti degli altri e quindi con il senso stesso che diamo alla vita.  Per questo la rabbia che esprimiamo nei conflitti può essere anche positiva. Il conflitto può rappresentare non solo la ricerca di una identità che gli altri non ci riconoscono, la rivincita di frustrazioni, un potere in “negativo” in assenza di altre forme di potere a disposizione … ma anche un modo di confrontarci con gli altri e con noi stessi mettendo tutto in gioco. La rabbia dei conflitti è certamente Energia Vitale che mettiamo in circolo nelle nostre vene coinvolgendo gli altri.

Quello che dovremo evitare è di assalire    l’altro come se fosse ancora una belva feroce spuntata dalla macchia a e pronta a distruggerci. Quindi dobbiamo “fermarci” a pensare se la situazione può essere più utilmente affrontata in modo diverso.  La violenza del conflitto può essere fisica, ma anche psicologica: minacce, invettive, disprezzo, ricatti, colpevolizzazioni, raggiri tesi ad indurre l’altro a comportarsi come non vorrebbe.  Quindi violenza è anche l’insieme di strumenti che mettono sotto controllo e condizionano la libera scelta dell’altro, negandogli lo sviluppo delle sue capacità di autodeterminazione. Vi è una violenza tra “pari”: compagni di scuola, militari nelle caserme, tra rivali in amore.  Competizione o conflitto in qualsiasi ambito diventano terreno fertile allo sviluppo della violenza per dimostrare chi è il più “forte” . La rabbia quando diventa sopruso fa del male agli altri e a noi stessi, porta l’intenzione di danneggiare l’altro per eliminare quelle componenti emotive di disagio che si presentano nella relazione stessa.

La violenza. E’ una azione volontaria, coercitiva, esercitata da un soggetto su un altro in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà.

Vi è anche un tipo di violenza che si sviluppa tra persone che hanno già asimmetrie di potere, qui si esprime più facilmente il conflitto o la violenza poiché esistono posizioni “impari”  in cui la parte prevale per superiorità di forza fisica, economica, culturale, sociale, anagrafica, di sesso, stato di salute … etc. Possiamo considerare “attive” quelle che presuppongono una azione diretta e specifica sulle vittime e

“passive” quelle che influiscono in modo subdolo sullo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale impedendo sviluppo e autonomia della persona che le subisce. Il conflitto ha dunque una spirale in crescendo:

la violenza si ha quando le persone in conflitto considerano l’altro come un ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi o  viene avvertito come minaccia della propria sopravvivenza. In questo modo non si intravede una soluzione al problema iniziale in cui vi sia spazio per colui che è avvertito come “avversario”.

Le energie impiegate per l’annientamento dell’altro sono infinite e possono divenire una vera e propria ossessione, portano progressivamente ad un distacco sempre più lontano dalla realtà.

Silenzio assenso

Spesso la vittima si accompagna a sentimenti di paura, confusione e vergogna tanto da non essere a volte più in grado di esprimere in modo autonomo il proprio volere. La violenza ha così prodotto il suo effetto: ha annientato la volontà dell’altro, ha prodotto il suo silenzio come apparente consenso che permette la perpetrazione del conflitto o della violenza. Spesso la violenza cresce e si sviluppa nel silenzio delle sue vittime.

LIBERTA’ e AMORE sono il contrario della violenza.

La libertà intesa come autonomia e libertà di scelta, sentita anche come diritto (e pertanto garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale e politica) costituisce la base del rispetto reciproco tra persone che si riconoscono portatrici, tutte, di uguali diritti e dignità. Spesso invece tendiamo a creare condizioni per “controllare” l’altro, la sua vita, le sue volontà, in assenza di fiducia per le sue autonome scelte, per la sua capacità di vivere liberamente.

Forse la paura di libertà dell’altro nasconde la paura di essere abbandonati. Volere il bene dell’altro significa però e  innanzitutto sviluppo della personalità e delle risorse / potenzialità che ha in se, dei suoi desideri e della sua autonomia. Dove un nostro appoggio lo può portare ad esprimerli ed a coniugarli con i nostri per farne un progetto di vita parentale, amicale, lavorativo, sociale.

. Per questo la scelta di stare insieme di due persone, diverse tra loro ma con pari diritti, che vanno costituendo una famiglia è sempre meno dovuta a ruoli sociali già disegnati (a cui non rimane che adeguarsi), bensì ad una libera scelta che tende ad essere rinnovata giorno per giorno. Stare insieme, oggi più di ieri, è comunque una libera scelta: l’altro sta con noi se riusciamo a farci amare e ad amarlo, nonostante difetti e debolezze di entrambi. Anche i figli sono soggetti della famiglia a cui sono riconosciuti proprie istanze di libertà e autonomia: non solo minori da tutelare ma portatori riconosciuti di proprie autonome esigenze di sviluppo da salvaguardare. Riguardo a queste esigenze di sviluppo da salvaguardare nei figli, gli adulti hanno precisi doveri.  La stessa patria potestà assume sempre di più oggi un significato non tanto di diritto dei genitori sul minore, quanto di dovere degli adulti nei confronti dei figli, per aiutarli a raggiungere un sano benessere nello sviluppo della loro personalità In questa ottica diventa quindi “un diritto relazionale” il bisogno dei figli di avere una continuità di relazioni con entrambi i genitori anche qualora i coniugi decidessero di interrompere il legame coniugale (art 24 carta dei diritti fondamentali dell’UE) In famiglia come altrove è importante rispettare la libera volontà dell’altro, poiché non ci appartiene né per dovere né per amore. Diventa ancora più difficile quando l’altro vuole lasciarci: porta un dolore a volte insopportabile. Ci si può sentire rifiutati, annientati, traditi, abbandonati. Quel patto intimo di reciproca fiducia che univa non esiste più, ciò che avevamo di più caro ci sta lasciando o dice che non ci ama più e magari tutto accade senza consapevolezza o preparazione. L’aggressività può diventare una risposta immediata man mano che cresce la voglia di essere riconosciuto dall’altro con quella identità positiva di noi stessi in cui, con l’altro, avevamo creduto e in cui vorremmo credere ancora. Perdendo questa identità non sappiamo più chi siamo: naufraghi in un mare in tempesta, in preda ai conflitti più profondi con noi stessi e con quel mondo di affetti che fino a poco prima ci era più caro.

Naufraghi … chi più … chi meno… Così per i coniugi: e in maniera ancora più tempestosa per i figli.  Ma tutti in solitudine. A fronte di un crescente numero di fratture coniugali, si acuisce anche il problema dei figli che si trovano in famiglie divenute “divise” e prive della originaria “identità”. I figli  talora contesi, talora inconsapevoli scudi nei conflitti tra coniugi,  talora ignorati, trascurati, maltrattati, talora spettatori inermi delle violenze tra genitori o nei confronti di loro stessi,  alla ricerca di un nuovo equilibrio di vita in cui essi non rappresentano più il centro dell’attenzione e della coesione del nucleo familiare Eppure gli ex coniugi continuano ad essere i genitori, anche se talvolta i conflitti sono così acuti e violenti, che essi stessi non riescono più a controllarli né a mettere al centro della loro attenzione il benessere dei loro figli stessi.  Per questo è importante imparare a gestire i conflitti per evitare dolori e forme di animosità che diventano poi insanabili, a cominciare dai conflitti in casa nostra…

Impariamo a gestire il conflitto

L’aggressività esprime sempre un conflitto, poiché vi sono volontà e forze diverse che si confrontano con armi diverse in pugno e può degenerare in violenza Non necessariamente il conflitto deve essere sinonimo di violenza. La violenza è spesso inutile e dannosa, anche per chi apparentemente è il “vincente”, poiché il “vinto” la vittima o i problemi di cui era portatore ritorneranno a farsi vivi nel tempo, a chiedere ancora la nostra attenzione, anche attraverso i rimorsi che rimangono dentro La violenza che si esprime nei conflitti è una risposta inadeguata alla situazione: la violenza di chi doveva difendersi dalle minacce delle belve in ambienti naturali ostili e pieni di insidie, non si addice ai contesti in cui siamo chiamati ad operare oggi. Talvolta la violenza esprime una sorta di vendetta per un male o torto subito o che crediamo tale;  oppure con la violenza chiediamo anche l’attenzione di chi non vuole ascoltare le nostre ragioni.  In entrambi i casi crediamo di costruirci una GIUSTIZIA, fatta con le nostre mani. Nei conflitti che si protraggono nel tempo, come quelli familiari tra coniugi, la violenza è spesso connessa a situazioni in cui il conflitto non è stato in alcun modo gestito o in cui le parti in contesa non sono più in grado di farlo. Troppo a lungo il conflitto è stato nascosto, negato, non affrontato alle sue radici e quando scoppia in forme incontrollabili è troppo tardi per riuscire a dominarlo, come un incendio che divampa. Talvolta le parti in conflitto assumono la logica del “o vinco io o vinci tu”, del muro contro muro, della rivalsa dell’uno sull’altro.Proprio chi sino a poco tempo prima si amava oggi diviene il nemico da combattere.  In preda a questa situazione si perde talora la capacità di gestire il conflitto in modo rispettoso delle diverse volontà delle parti e dei sentimenti di ognuno. Quelle stesse diversità che prima sembravano integrarsi con le nostre diventano ora delle insopportabili e minacciose diversità che desideriamo annientare. Quando si esprime il conflitto in forme violente è perché si crede  e ci si illude che  questa sia l’unica via di risoluzione di quella controversia e, di fatto, non si riesce più ad uscirne. Vi sono molti modi di gestire realmente il conflitto e anche di risolvere le controversie, che siano costruttivi: risolvere i conflitti in modo costruttivo significa cercare una soluzione al problema senza attaccare la persona che sta di fronte

Ø  Nello stesso modo in cui si opera una distinzione tra persone e problema, così occorre distinguere tra COMPORTAMENTI  e ATTEGGIAMENTI delle parti e loro INTERESSI.

Ø   Spesso gli interessi che stanno alla base del conflitto possono venire alla luce in modi diversi rispetto ai comportamenti e atteggiamenti assunti dalle parti.

Ø   Il Counselor o il Mediatore Familiare ossia un terzo neutrale può dare una mano in tal senso. che per competenze e capacità potrà supportare i soggetti a trovare nuove modalità per gestire e risolvere in maniera positiva  i contrasti

Ø  Counseling o Mediazione Familiare un possibile aiuto per il singolo, la coppia o il sistema che è in crisi e non riesce a trovare un modo per la gestione e/o risoluzione dei propri conflitti

Ø  La Mediazione Familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari, quando queste sono fortemente conflittuali, realizzato con l’aiuto di una terza persona, un Mediatore che con una preparazione specifica e sollecitato o con il consenso delle parti in conflitto, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino essi stessi un programma di separazione soddisfacente per loro e per i loro figli esercitando la comune responsabilità genitoriale.

Ø  Il M è quindi in sostanza un “Facilitatore” delle comunicazioni  e dell’ascolto reciproco, che tende a ridare fiducia alle parti contendenti in possibili soluzioni comuni, per il benessere superiore dei figli.

Ø   Si rovescia così la logica del vincitore  e del vinto, della prova di forza reciproca, per adottare una logica temporale più lunga, vedendo, oltre il conflitto del momento del momento, limitando o prevenendo forme di violenza che attraverso il conflitto si esprimono, per riuscire a comprenderne gli effetti spesso devastanti che queste hanno sul futuro dei figli.

Ø   La M.F. propone la logica del “si può vincere in due” se ci si ascolta soprattutto nelle nostre esigenze e sui nostri bisogni, con la convinzione che i ambedue le persone, oltre il conflitto,  hanno un futuro. Riaccendendo la speranza del guardare oltre  E tende anche a ricreare quella fiducia e stima che nel conflitto spesso i contendenti perdono o temono di perdere per sempre di fronte ad un “fallimento” (o vissuto come tale) della loro unione.

Il Counseling è una professione con un proprio codice ontologico come intervento e si propone di migliorare il benessere promuovendo ed operando sulla salute più che sulla patologia quindi lavora su: problemi interpersonali limitati e specifici all’area di conflitto, vissuti di ambivalenza, stress e decisioni difficili

Obiettivi specifici del Counseling

Prendere decisioni

Superare crisi

Migliorare i rapporti con gli altri

Agevolare lo sviluppo

Accrescere la conoscenza di sé

Elaborare emozioni e conflitti interiori

Prima che il disagio si cronicizzi

Cosa caratterizza una relazione di counseling?

Ø  Facilita la crescita e il cambiamento

Ø  Esplora le modalità relazionali e le          dinamiche intrapsichiche

Ø  Mira all’identificazione e allo sviluppo   delle risorse

Modelli di riferimento

presupposti teorici dalla psicologia di comunità e dalla psicologia umanistica

Ø  Maslow – Rogers – Gordon

Modello dell'uomo

Ø  Essere in divenire  libertà, individualità, l'interazione sociale.

Ø  Tendenza attualizzante" 

Finalità: promozione della salute psicofisica dell'individuo

Ø  Relazione caratterizzata da accettazione incondizionata

Ø  Comunicazione efficace - empatia

Le barriere della comunicazione da EVITARE nel Counseling sono il

       VALUTARE, GIUDICARE E CRITICARE

       INTERPRETARE

       SOLUZIONARE

       SOSTENERE

       INVESTIGARE

 

Il buon facilitatore è necessario che:

Ø  Sia autentico e genuino (che trapeli congruenza fra i suoi sentimenti, le sue parole, le sue azioni);

Ø  dimostri considerazione positiva incondizionata per i partecipanti del gruppo;

Ø  provi empatia: comprenda ciò che provano i membri del gruppo;

Ø  favorisca la partecipazione di tutti;

Ø  sappia incanalare adeguatamente, senza ricambiarla, l'aggressività che emerge in una determinata fase di vita del gruppo;

Ø  rispetti profondamente i membri del gruppo riconoscendo a ciascuno valore in quanto persona, indipendentemente da idee, sentimenti espressi e comportamenti espliciti;

Ø  lavori sul "positivo" che indubbiamente c'é in ogni persona e in ogni situazione;

Ø  abbia fiducia nella possibilità di cambiamento che c'é in ognuno;

Ø  sia non-direttivo e pronto ad adeguare programmi e obiettivi alle esigenze del gruppo.
 
 
 
 
Bibliografia minima
•Berne E., A che gioco giochiamo, Milano, Bompiani, 1967.
•Boiron C., Le ragioni della felicità, Franco Angeli 2001.
•Cheli E., Le relazioni interpersonali. Nella coppia, in famiglia, a scuola, sul lavoro, Xenia Edizioni, 2009
•Cheli E., Teorie e tecniche della comunicazione interpersonale. Una introduzione interdisciplinare, Franco Angeli, 2004
•Cheli E., Relazioni in armonia, Franco Angeli
•De Sario P., Ecologia della comunicazione, Xenia edizioni, 2010
•De Sario P., La comunicazione ecologica, Xenia, Milano, 2010.
• Giddens A., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, ed. Il Mulino, 2000.
• Giusti E. – Veronica R., Psicoterapie della Gestalt , Sovera, Roma, 2008
•Goleman D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1995
•J. Hillman, Le forme del potere, Garzanti, Milano, 1996.
•La Porta G., A come Anima, Il saggiatore, Milano, 2001
•Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Firenze, Martinelli, 1970.
•Scott T., R. Davis, Guida al counseling, Milano, Franco Angeli 1994.
•Stone H., Stone S., Tu & Io. Incontro, scontro e crescita nelle relazioni interpersonali, Xenia, Milano 2009
•Shellenbaum P., "La ferita dei non amati", Edizioni RED 1995.
•Watzlawick P., J. H. Beavin, D. D. Jackson, La pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1978.
•Watzlawick P., J. Weakland, Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Roma, Astrolabio 1974.
Testi sulla gestione costruttiva dei conflitti
•Cheli E., (cur.) La comunicazione come antidoto ai conflitti, Punto di fuga editore, Cagliari, 2003.
•Galtung J., La trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend: andare oltre il conflitto, EGA, Torino, 2000.
•Goleman D., Lavorare con intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1998.
•Goleman D., R. E. Boyatzis, A. Mckee, Essere leader, Rizzoli, Milano, 2002
•L’Abate A., Giovani e pace. Ricerche e formazione per un futuro meno violento, ed. Pangea, Torino, 2001.
•Patfoort, P., Costruire la nonviolenza: per una pedagogia dei conflitti, Ed. La Meridiana, Molfetta (Ba), 1992.
•E. Arielli, G. Scotto, I conflitti: introduzione ad una teoria generale, Ed. B. Mondadori, Milano, 1998
Bibliografia minima sulla concezione olistica come paradigma
•Bateson G., Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984.
•Cheli E., Olismo la scienza del futuro, Xenia edizioni, 2010
•Cheli E., Percorsi di consapevolezza, Metodi olistici per la conoscenza interiore e la realizzazione di sé, Xenia, Milano, 2009.
•Cheli E., L'età del risveglio interiore. Autoconoscenza, spiritualità e sviluppo del potenziale umano nella cultura della nuova era. FrancoAngeli, Milano, 2001
 •Laszlo, E., Olos. Il nuovo mondo della scinza, Ed. Riza, Milano 2002.
•M. Malagoli Togliatti, U. Telfner (cur.) Dall'individuo al sistema, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
•Melucci A., Il gioco dell’io. Feltrinelli, 1991
•Melucci A., Passaggio d’epoca, Milano, Feltrinelli, 1994