IL COUNSELOR
NEL CONFLITTO
Ci rivolgiamo
non solo a Counselor o a Mediatori Familiari ma tutti coloro che vogliono
vivere in quotidianità con VOGLIA di
PACE per acquisire una maggiore consapevolezza nel gestire i conflitti propri e
altrui producendo minor danno e dolore; affinché i conflitti, fuori e dentro di
noi, in famiglia come nel sociale, non diventino momenti brutali di sopraffazione
e di animosità degli uni contro gli altri, in assenza di dialogo e
confronto civile, rispettoso delle
differenze di opinione, di religione, di razza, sesso e cultura. Poiché è responsabilità
collettiva promuovere un cambiamento culturale e sociale. Siamo immersi nei
conflitti in casa: tra sessi e generazioni diverse. Fuori casa: nella scuola, nel lavoro, per
strada, nel quartiere. Ci confrontiamo
con vari tipi di conflitto, talora tra livelli decisionali o gerarchie sociali
diverse, talora con nostri simili o con coloro che ci sembrano troppo diversi.
Siamo in conflitto anche con noi stessi quando dobbiamo prendere una decisione
difficile o che contrasta con una parte di noi. Ma che cosa è il conflitto?Il
conflitto è una contesa, una opposizione, un contrasto di opposti desideri,
tendenze, interessi. Questo contrasto fa parte della nostra vita e della nostra
storia Uno degli psicologi che ha avuto maggiore influsso sugli studi e le
applicazioni legate alla comunicazione interpersonale ed alla gestione del
conflitto è senz'altro (Thomas Gordon. “I conflitti non sono né buoni né
cattivi”. Il vero problema, non è tanto l'esistenza dei conflitti in sé,
quanto il numero di conflitti non risolti ed i metodi impiegati per risolverli.)Tutto
dipende dalle strategie usate per la loro gestione: se si usano strategie
costruttive e si coopera per arrivare ad una soluzione condivisa da entrambi o
per lo meno soddisfacente, allora il conflitto sarà stato positivo. Vediamo
come questo contrasto tra due o più individui si manifesta. quando i
comportamenti dell'uno interferiscono con i bisogni dell'altro. quando c'è una
discordanza in termini di valori. In sostanza, pensiamo al conflitto come se
fosse una partita, in cui una parte è quella vincente e l'altra la perdente.Probabilmente
questa visione deriva dal contesto sociale in cui viviamo, improntato all' individualismo
e alla competitività.Nessuno può negare l'importanza che abbiano
individualismo e spirito competitivo nella nostra vita quotidiana. L'individualismo
inteso nel senso di libertà di scelta e di auto-determinazione, cioè di poter
decidere sui fini della propria vita è senz'altro positivo. D'altro canto, un sano
spirito competitivo è essenziale per la nascita e lo sviluppo di nuove
idee, soluzioni, invenzioni che rappresentano benefici per l' intero pianeta. Tuttavia,
se si osserva bene la storia dell'umanità si potrà notare che l'elemento che ha
permesso la sua evoluzione è stata senz'altro la capacità di cooperare, caratteristica
della specie umana. La cooperazione è il motore dello sviluppo, è ciò che rende
possibile che l'esigenze di tutti vengano tenute in considerazione e vengano
soddisfatte. Questa logica della cooperazione deve anche
applicarsi ai conflitti interpersonali. Ogni volta che entriamo in
disaccordo con gli altri non chiediamoci: chi ha ragione ma: come trovare una
soluzione che possa soddisfare entrambi e quale soluzione risulta vincente per
entrambi. Perché o si vince insieme o non si vince affatto.
•
ATTEGGIAMENTI NON CORRETTI PER GESTIRE UN
CONFLITTO
•
Cancellazione quando non si menziona
affatto che esista un problema
•
Distorsione non ritenersi responsabili
del problema, poiché lo si attribuisce a cause esterne
•
Generalizzazione dire all’interlocutore
frasi tipo: “ sei sempre il solito”..”tu non vieni mai”
generalizzando comportamenti che magari l’altro non sempre manifesta
•
Distrazione iniziare una accesa
discussione, rifugiarsi nelle dipendenze, guardare troppa Tv, fuggire, etc.
•
Finzione fingere sentimenti che non si
provano per evitare di avvertire quelli che si sentono veramente(la rabbia ad
es è un emozione che spesso sostituisce il dolore)
•
Negazione non sentire nulla e non sapere
nulla a proposito di ciò che comunica l’interlocutore.
•
Distrazione e Negazione sono atteggiamenti
accompagnati spesso da una dipendenza ad alcool o stupefacenti
•
Distanziamento nel senso di prendere le
distanze dal “problema”, essere mentalmente altrove…
•
Acting-out esprimere compulsivamente
con l’azione (insieme di azioni aggressive con difficoltà di controllo
,rompere oggetti, percuotere qualcuno …)
•
Parlerei di acting-out come diretto ad
interrompere l'acquisizione di insight ; oppure un agire un impulso che non ha mai potuto esprimersi
verbalmente perché o troppo intenso o
perché la persona manca di inibizione, quasi un’area intermedia tra linguaggio
ed espressione di uno stress
ATTEGGIAMENTI POSITIVI PER RISOLVRE UN CONFLITTO
Distanziarsi
emotivamente dalla spirale negativa di attacchi e contro-attacchi di cui un
conflitto è spesso costituito.
Trucchi: respirare in modo
semplice , lentamente e profondamente. Cercare di vedere la scena del conflitto
da lontano come osservatori in cima ad una montagna o su di un balcone. Questo
permette di non rimanere intrappolati
Rimanere
focalizzati sui nostri veri obiettivi nel breve e lungo periodo, spesso
perdendo di vista il problema vero si divaga in una spirale senza fine, di
recriminazioni reciproche e distruttive. E’ bene invece rimanere focalizzati
sul problema che causa il conflitto e lavorare insieme alla sua soluzione
Immaginare
il proprio interlocutore coinvolto nel conflitto come un potenziale alleato.
In questo caso è utile visualizzare una situazione del genere: noi ed il nostro
interlocutore ci troviamo su un isola deserta e dobbiamo cooperare per
continuare a sopravvivere
Concentrarsi
su obiettivi positivi per il presente e per il futuro, invece di colpevolizzare
l’altro per errori passati. Una corretta gestione del conflitto mira a creare
migliori condizioni per il presente ed il futuro, non a rimproverare,
rimpiangere o lamentarsi per ciò che è passato.
Formulare
delle richieste specifiche, invece che criticare l’interlocutore o affibbiargli
etichette negative tipo “sei un irresponsabile” “sei un disonesto”… suggerire
esattamente all’altro che azioni concrete vogliamo che intraprenda, invece che
criticarlo negativamente
Anche nelle migliori relazioni si
hanno conflitti. I problemi sorgono quando le persone coinvolte non hanno
strumenti adeguati per far fronte al conflitto. Affrontare e gestire
efficacemente un conflitto implica grandi capacità di ascolto, apertura,
flessibilità, creatività e maturità emotiva.
Per Joan Galtung, riconosciuto
come il fondatore dei moderni studi sulla pace, i conflitti presentano 3
componenti che costituiscono l’A B C del conflitto
•
Attitudes atteggiamenti
•
Behaviors comportamenti
•
Contradictions contrasti di interessi
Risoluzioni
•
per A empatia
•
Per B non – violenza
•
Per C creatività
CONFLITTO INTRAPERSNALE Le cause
del conflitto intrapersonale (Vincenzo Majer, 1995 PROF. ORDINARIO DI
PSICOLOGIA UNIVERSITA’ DI FI) sono prevalentemente di tipo strutturale:
1. incompatibilità
persona/compito;
2. incompatibilità tra bisogni
della persona e obiettivi organizzativi;
3. richieste eccessive da
parte dell'organizzazione rispetto alle reali capacità della persona;
CONFLITTO INTERGRUPPALE I fattori
che causano conflitto intragruppo sono legati a:
1. stile di leadership
autoritario
2. struttura del compito
complessa;
3. grandi dimensioni dei
gruppi di lavoro (creazione di sottogruppi con finalità contrastanti);
4. composizione eterogenea dei
gruppi negli atteggiamenti, valori, interessi, stili interpersonali;
5. risultati negativi in
ambienti ad elevata competitività interna
Il nostro stesso sviluppo come
persone adulte, legato alla crescita e all’evolversi della personalità è
segnato spesso da conflitti: perché la
realtà può contrastare con i nostri desideri e convinzioni; ci limita e quindi “ridefinisce” il nostro
modo di essere, le nostre tendenze
GESTIRE EFFICACEMENTE I CONFLITTICosa
permette all’altro di esprimere il suo disagio e favorisce l’attivazione di
risorse adeguate per superarlo? ASCOLTO ATTIVO in 4 passi
Ø
Passo 1 ascolto passivo si ascolta l’altro in
silenzio e senza interromperlo, permettendogli di esprimersi
Ø
Passo 2 messaggi di accoglimento verbali(ti
ascolto, sto cercando di capire), sia non verbali(cenni del capo, protendersi…)
Ø
Passo 3 inviti verbali “spiegami meglio … dimmi
… fammi capire se ho compreso bene … correggimi se sbaglio...“per fargli
approfondire quanto dice senza valutazioni o giudizi.
Ø
Passo 4 riflettere il contenuto dell’altro
attraverso parole proprie per verificare la comprensione del messaggio il
messaggio implicito inviato è il seguente:”ti considero, ti comprendo e ti
accetto come persona, al centro ci sei tu… io sono qui per ascoltarti”
Ø
Vediamo se ho ben capito …
Ø
Quindi mi stai dicendo che ...
Ø
Secondo te allora …
Ø
Dal tuo punto di vista quindi…
Questa
tecnica permette a chi esprime un
messaggio di sentirsi compreso e non giudicato, pertanto è il miglior antidoto
alla nascita e allo sviluppo di conflitti distruttivi. Un conflitto anche se “doloroso” o “faticoso”,
segna comunque la nostra crescita ad un livello più complesso di comprensione
della realtà. Ogni conflitto può segnare
anche un cambiamento del modo di porci in e con il mondo in genere. Quando dobbiamo fare i conti
con gli altri noi ridefiniamo sempre la nostra identità attraverso le relazioni
che ci legano con il mondo che ci circonda. Talora è talmente faticoso che lo facciamo
solo quando siamo costretti dai conflitti che ci “propongono” o impongono gli
altri. Il conflitto è comunque uno stato della relazione in cui si presenta un
problema (contenuto del conflitto) che
crea disagio emotivo e che può evolversi a volte in vera e propria “rabbia”. La
rabbia Arrabbiarsi è naturale e questo capita spesso quando siamo immersi in un
conflitto con noi stessi o con gli altri. E’ un sentimento, la rabbia, ed i
sentimenti sono spontanei, talora irrefrenabili come fiumi in piena. Spesso a
carattere esplosivo e temporaneo. I nostri antenati per sopravvivere dovevano
lottare e non avevano scelta, i pericoli erano in agguato e guai se non si
fossero arrabbiati. Quando accadeva il loro corpo si preparava ad attaccare
così erano pronti a cacciare, ad aggredire, a difendersi. La paura li aiutava a
scappare quando la situazione diventava troppo rischiosa Anche oggi quando ci
arrabbiamo o ci spaventiamo il nostro corpo si comporta nello stesso modo: mette
in circolo alcuni ormoni “messaggeri” che danno l’ordine al nostro cervello e
questo al nostro corpo, di preparasi a combattere o a fuggire. Una sorta di
sirena d’allarme per fronteggiare una situazione che richiede tutte le nostre
fisiche e mentali. Il cuore batte forte, le guance diventano rosse, la pancia è
in subbuglio, le mani prudono e ci sembra di essere una sorta di vulcano in
eruzione. Questo
modo di stare arrabbiati nei conflitti ci fa sentire anche molto “vivi”,
ci mette in contatto con le radici profonde dell’albero della nostra esistenza,
col senso delle nostre scelte, della nostra identità nei confronti degli altri
e quindi con il senso stesso che diamo alla vita. Per questo la rabbia che esprimiamo nei
conflitti può essere anche positiva. Il conflitto può rappresentare non
solo la ricerca di una identità che gli altri non ci riconoscono, la rivincita
di frustrazioni, un potere in “negativo” in assenza di altre forme di potere a
disposizione … ma anche un modo di confrontarci con gli altri e con noi
stessi mettendo tutto in gioco. La
rabbia dei conflitti è certamente Energia Vitale che mettiamo in circolo nelle
nostre vene coinvolgendo gli altri.
Quello che dovremo evitare è
di assalire l’altro come se fosse
ancora una belva feroce spuntata dalla macchia a e pronta a distruggerci. Quindi
dobbiamo “fermarci” a pensare se la situazione può essere più utilmente
affrontata in modo diverso. La violenza
del conflitto può essere fisica, ma anche psicologica: minacce, invettive,
disprezzo, ricatti, colpevolizzazioni, raggiri tesi ad indurre l’altro a
comportarsi come non vorrebbe. Quindi
violenza è anche l’insieme di strumenti che mettono sotto controllo e
condizionano la libera scelta dell’altro, negandogli lo sviluppo delle sue
capacità di autodeterminazione. Vi è una violenza tra “pari”: compagni di
scuola, militari nelle caserme, tra rivali in amore. Competizione o conflitto in qualsiasi ambito
diventano terreno fertile allo sviluppo della violenza per dimostrare chi è il
più “forte” . La
rabbia quando diventa sopruso fa del male agli altri e a noi stessi, porta
l’intenzione di danneggiare l’altro per eliminare quelle componenti emotive di
disagio che si presentano nella relazione stessa.
La violenza. E’ una azione
volontaria, coercitiva, esercitata da un soggetto su un altro in modo da
determinarlo ad agire contro la sua volontà.
Vi è anche un tipo di violenza
che si sviluppa tra persone che hanno già asimmetrie di potere, qui si esprime
più facilmente il conflitto o la violenza poiché esistono posizioni “impari” in cui la parte prevale per superiorità di
forza fisica, economica, culturale, sociale, anagrafica, di sesso, stato di
salute … etc. Possiamo considerare “attive” quelle che presuppongono una azione
diretta e specifica sulle vittime e
“passive” quelle che influiscono
in modo subdolo sullo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale
impedendo sviluppo e autonomia della persona che le subisce. Il conflitto ha dunque una
spirale in crescendo:
la violenza si ha quando le
persone in conflitto considerano l’altro come un ostacolo al raggiungimento dei
propri obiettivi o viene avvertito come
minaccia della propria sopravvivenza. In questo modo non si intravede una
soluzione al problema iniziale in cui vi sia spazio per colui che è avvertito
come “avversario”.
Le energie impiegate per
l’annientamento dell’altro sono infinite e possono divenire una vera e propria
ossessione, portano progressivamente ad un distacco sempre più lontano dalla
realtà.
Silenzio assenso
Spesso la vittima si accompagna a
sentimenti di paura, confusione e vergogna tanto da non essere a volte più in
grado di esprimere in modo autonomo il proprio volere. La violenza ha così
prodotto il suo effetto: ha annientato la volontà dell’altro, ha prodotto il
suo silenzio come apparente consenso che permette la perpetrazione del
conflitto o della violenza. Spesso la violenza cresce e si sviluppa nel
silenzio delle sue vittime.
LIBERTA’ e AMORE sono il
contrario della violenza.
La libertà intesa come autonomia
e libertà di scelta, sentita anche come diritto (e pertanto garantito da una
precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale e politica) costituisce
la base del rispetto reciproco tra persone che si riconoscono portatrici,
tutte, di uguali diritti e dignità. Spesso
invece tendiamo a creare condizioni per “controllare” l’altro, la sua vita, le
sue volontà, in assenza di fiducia per le sue autonome scelte, per la sua
capacità di vivere liberamente.
Forse la paura di libertà
dell’altro nasconde la paura di essere abbandonati. Volere il bene dell’altro
significa però e innanzitutto sviluppo
della personalità e delle risorse / potenzialità che ha in se, dei suoi desideri
e della sua autonomia. Dove un nostro appoggio lo può portare ad
esprimerli ed a coniugarli con i nostri per farne un progetto di vita
parentale, amicale, lavorativo, sociale.
. Per questo la scelta di stare
insieme di due persone, diverse tra loro ma con pari diritti, che vanno
costituendo una famiglia è sempre meno dovuta a ruoli sociali già disegnati (a
cui non rimane che adeguarsi), bensì ad una libera scelta che tende ad essere
rinnovata giorno per giorno. Stare insieme, oggi più di ieri, è comunque una
libera scelta: l’altro sta con noi se riusciamo a farci amare e ad amarlo,
nonostante difetti e debolezze di entrambi. Anche i figli sono soggetti della
famiglia a cui sono riconosciuti proprie istanze di libertà e autonomia: non
solo minori da tutelare ma portatori riconosciuti di proprie autonome esigenze
di sviluppo da salvaguardare. Riguardo a queste esigenze di sviluppo da
salvaguardare nei figli, gli adulti hanno precisi doveri. La stessa patria potestà assume sempre di più
oggi un significato non tanto di diritto dei genitori sul minore, quanto di
dovere degli adulti nei confronti dei figli, per aiutarli a raggiungere un sano
benessere nello sviluppo della loro personalità In questa ottica diventa quindi
“un diritto relazionale” il bisogno dei figli di avere una continuità di
relazioni con entrambi i genitori anche qualora i coniugi decidessero di
interrompere il legame coniugale (art 24 carta dei diritti fondamentali
dell’UE) In famiglia come altrove è importante rispettare la libera volontà
dell’altro, poiché non ci appartiene né per dovere né per amore. Diventa ancora
più difficile quando l’altro vuole lasciarci: porta un dolore a volte
insopportabile. Ci si può sentire rifiutati, annientati, traditi, abbandonati. Quel
patto intimo di reciproca fiducia che univa non esiste più, ciò che avevamo di
più caro ci sta lasciando o dice che non ci ama più e magari tutto accade senza
consapevolezza o preparazione. L’aggressività
può diventare una risposta immediata man mano che cresce la voglia di essere
riconosciuto dall’altro con quella identità positiva di noi stessi in cui, con
l’altro, avevamo creduto e in cui vorremmo credere ancora. Perdendo questa
identità non sappiamo più chi siamo: naufraghi in un mare in tempesta, in preda
ai conflitti più profondi con noi stessi e con quel mondo di affetti che fino a
poco prima ci era più caro.
Naufraghi … chi più … chi
meno… Così per i coniugi: e in
maniera ancora più tempestosa per i figli. Ma tutti in solitudine. A fronte di un
crescente numero di fratture coniugali, si acuisce anche il problema dei figli che
si trovano in famiglie divenute “divise” e prive della originaria “identità”. I
figli talora contesi, talora inconsapevoli
scudi nei conflitti tra coniugi, talora
ignorati, trascurati, maltrattati, talora spettatori inermi delle violenze tra
genitori o nei confronti di loro stessi, alla ricerca di un nuovo equilibrio di vita in
cui essi non rappresentano più il centro dell’attenzione e della coesione del
nucleo familiare Eppure gli ex coniugi continuano ad essere i genitori, anche
se talvolta i conflitti sono così acuti e violenti, che essi stessi non
riescono più a controllarli né a mettere al centro della loro attenzione il
benessere dei loro figli stessi. Per
questo è importante imparare a gestire i conflitti per evitare dolori e forme
di animosità che diventano poi insanabili, a cominciare dai conflitti in casa
nostra…
Impariamo a gestire il
conflitto
L’aggressività esprime sempre un conflitto, poiché vi sono volontà
e forze diverse che si confrontano con armi diverse in pugno e può degenerare
in violenza Non necessariamente il conflitto deve essere sinonimo di violenza.
La violenza è spesso inutile e dannosa, anche per chi apparentemente è il
“vincente”, poiché il “vinto” la vittima o i problemi di cui era portatore
ritorneranno a farsi vivi nel tempo, a chiedere ancora la nostra attenzione,
anche attraverso i rimorsi che rimangono dentro La violenza che si esprime nei
conflitti è una risposta inadeguata alla situazione: la violenza di chi doveva
difendersi dalle minacce delle belve in ambienti naturali ostili e pieni di
insidie, non si addice ai contesti in cui siamo chiamati ad operare oggi. Talvolta
la violenza esprime una sorta di vendetta per un male o torto subito o che
crediamo tale; oppure con la violenza
chiediamo anche l’attenzione di chi non vuole ascoltare le nostre ragioni. In entrambi i casi crediamo di costruirci una
GIUSTIZIA, fatta con le nostre mani. Nei
conflitti che si protraggono nel tempo, come quelli familiari tra coniugi, la
violenza è spesso connessa a situazioni in cui il conflitto non è stato in
alcun modo gestito o in cui le parti in contesa non sono più in grado di farlo.
Troppo a lungo il conflitto è stato nascosto, negato, non affrontato alle
sue radici e quando scoppia in forme incontrollabili è troppo tardi per riuscire
a dominarlo, come un incendio che divampa. Talvolta
le parti in conflitto assumono la logica del “o vinco io o vinci tu”, del muro
contro muro, della rivalsa dell’uno sull’altro.Proprio chi sino a poco tempo
prima si amava oggi diviene il nemico da combattere. In preda a questa situazione si perde talora
la capacità di gestire il conflitto in modo rispettoso delle diverse volontà
delle parti e dei sentimenti di ognuno. Quelle stesse diversità che prima
sembravano integrarsi con le nostre diventano ora delle insopportabili e
minacciose diversità che desideriamo annientare. Quando si esprime il conflitto
in forme violente è perché si crede e ci
si illude che questa sia l’unica via di
risoluzione di quella controversia e, di fatto, non si riesce più ad uscirne.
Vi sono molti modi di gestire realmente il conflitto e anche di risolvere le
controversie, che siano costruttivi: risolvere i conflitti in modo
costruttivo significa cercare una soluzione al problema senza attaccare la
persona che sta di fronte
Ø Nello stesso modo in cui si opera una
distinzione tra persone e problema, così occorre distinguere tra
COMPORTAMENTI e ATTEGGIAMENTI delle
parti e loro INTERESSI.
Ø Spesso
gli interessi che stanno alla base del conflitto possono venire alla luce in
modi diversi rispetto ai comportamenti e atteggiamenti assunti dalle parti.
Ø Il
Counselor o il Mediatore Familiare ossia un terzo neutrale può dare una mano in
tal senso. che per competenze e capacità potrà supportare i soggetti a trovare
nuove modalità per gestire e risolvere in maniera positiva i contrasti
Ø Counseling
o Mediazione Familiare un possibile aiuto per il singolo, la coppia o il sistema che è in crisi e non riesce a
trovare un modo per la gestione e/o risoluzione dei propri conflitti
Ø La Mediazione Familiare è un percorso per la
riorganizzazione delle relazioni familiari, quando queste sono fortemente
conflittuali, realizzato con l’aiuto di una terza persona, un Mediatore
che con una preparazione specifica e sollecitato o con il consenso delle parti
in conflitto, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia
dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino
essi stessi un programma di separazione soddisfacente per loro e per i loro
figli esercitando la comune responsabilità genitoriale.
Ø Il M è quindi in sostanza un
“Facilitatore” delle comunicazioni e
dell’ascolto reciproco, che tende a ridare fiducia alle parti contendenti in
possibili soluzioni comuni, per il benessere superiore dei figli.
Ø Si
rovescia così la logica del vincitore e
del vinto, della prova di forza reciproca, per adottare una logica temporale
più lunga, vedendo, oltre il conflitto del momento del momento, limitando o
prevenendo forme di violenza che attraverso il conflitto si esprimono, per
riuscire a comprenderne gli effetti spesso devastanti che queste hanno sul
futuro dei figli.
Ø La
M.F. propone la logica del “si può vincere in due” se ci si ascolta
soprattutto nelle nostre esigenze e sui nostri bisogni, con la convinzione che
i ambedue le persone, oltre il conflitto,
hanno un futuro. Riaccendendo la speranza del guardare oltre E tende anche a ricreare quella fiducia e
stima che nel conflitto spesso i contendenti perdono o temono di perdere per
sempre di fronte ad un “fallimento” (o vissuto come tale) della loro unione.
Il Counseling è una professione con un proprio codice ontologico come
intervento e si propone di migliorare il benessere promuovendo ed operando
sulla salute più che sulla patologia quindi lavora su: problemi
interpersonali limitati e specifici all’area di conflitto, vissuti di
ambivalenza, stress e decisioni difficili
Obiettivi specifici del
Counseling
Prendere decisioni
Superare crisi
Migliorare i rapporti con gli altri
Agevolare lo sviluppo
Accrescere la conoscenza di sé
Elaborare emozioni e conflitti interiori
Prima che il disagio si
cronicizzi
Cosa caratterizza una
relazione di counseling?
Ø Facilita la crescita e il cambiamento
Ø Esplora le modalità relazionali e le dinamiche intrapsichiche
Ø Mira all’identificazione e allo sviluppo delle risorse
Modelli di riferimento
presupposti teorici dalla psicologia di comunità e dalla psicologia
umanistica
Ø Maslow – Rogers – Gordon
Modello dell'uomo
Ø Essere
in divenire libertà, individualità, l'interazione
sociale.
Ø Tendenza
attualizzante"
Finalità: promozione della salute psicofisica dell'individuo
Ø Relazione caratterizzata da accettazione
incondizionata
Ø Comunicazione efficace - empatia
Le barriere della comunicazione da EVITARE nel Counseling sono il
• VALUTARE, GIUDICARE E CRITICARE
• INTERPRETARE
• SOLUZIONARE
• SOSTENERE
• INVESTIGARE
Il buon facilitatore è necessario che:
Ø Sia autentico e genuino (che trapeli
congruenza fra i suoi sentimenti, le sue parole, le sue azioni);
Ø dimostri considerazione positiva
incondizionata per i partecipanti del gruppo;
Ø provi empatia: comprenda ciò che
provano i membri del gruppo;
Ø favorisca la partecipazione di tutti;
Ø sappia incanalare adeguatamente, senza
ricambiarla, l'aggressività che emerge in una determinata fase di
vita del gruppo;
Ø rispetti profondamente i membri del gruppo
riconoscendo a ciascuno valore in quanto persona, indipendentemente da idee,
sentimenti espressi e comportamenti espliciti;
Ø lavori sul "positivo" che
indubbiamente c'é in ogni persona e in ogni situazione;
Ø abbia fiducia nella possibilità di cambiamento
che c'é in ognuno;
Ø sia non-direttivo e pronto ad adeguare
programmi e obiettivi alle esigenze del gruppo.
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