“VISSI”.
FORME DI ASCOLTO, ACCETTAZIONE E COMPRENSIONE EMPATICA
Il
counseling è una tecnica di colloquio di aiuto che si sviluppa tra due persone,
il counselor ed il cliente dove, entrambi i soggetti danno vita ad una
relazione stabilita da ruoli precisi: il counselor è l’operatore del colloquio
di auto, il cliente è la persona che emette una richiesta di aiuto.
I passi
che si fanno nel condurre un colloquio sono il risultato della creativa
intuizione di chi conduce il colloquio e dalla sua capacità di inquadrare i
problemi e i loro contesti e intravedere vie di soluzioni logiche e in parte
confortate dall’esperienza.
La tecnica
del counseling venne sperimentata per la prima volta all’inizio degli anni
sessanta dal Dott. Carl Rogers con l’intento di apportare sostanziali modifiche
alle tecniche del colloquio tradizionale che si basavano su procedimenti
standardizzati, uguali per ogni persona. Questa tecnica viene utilizzata per
varie figure professionali come medici, psicologi, assistenti sociali,
operatori del colloquio di auto. Il counseling si differenzia dai precedenti
modelli di aiuto perché è un metodo non direttivo centrato sulla persona.
Questo metodo prevede che l’operatore ed il cliente, entrino in sintonia.
Infatti il counselor comprende attraverso la comunicazione del cliente, le sue
difficoltà ed il cliente comprende maggiormente la propria condizione
rinforzando la capacità di riflessione attraverso la comprensione del
counselor. Carl Rogers elaborò cinque diversi modalità e principi su cui si
basa la tecnica del counseling:
1.
accoglienza e non iniziativa;
2.
essere centrati su ciò che è vissuto dal soggetto e non sui
fatti che racconta;
3.
interessarsi alla persona, non al problema in quanto tale;
4.
rispettare il soggetto, manifestargli interesse e
considerazione, senza assecondare il desiderio inconscio di dimostrare la
propria perspicacia e la propria superiorità;
5.
facilitare la comunicazione e non fare delle rivelazioni.
Questa
modalità ha come presupposto che solo il cliente conosca a pieno il suo
problema e solo lui può comunicarlo al meglio al counselor. Il counselor non
propone risposte preconfezionate e non si pone come colui che sa, ma ascolta il
cliente e lo sostiene nel suo cambiamento. Non tutti sono predisposti
all’utilizzo della tecnica del counseling e poiché il cliente deve essere in
grado di riconoscere il riflesso di un pensiero che ha appena emesso, il
counselor dovrà rispettarne i ritmi e i tempi adattandosi al cliente stesso. La
diversità di ogni cliente è il punto di forza che il counselor deve utilizzare;
questa è infatti una ricchezza, e sforzarsi di osservare con gli occhi
dell’altro o mettere a disposizione il nostro punto di vista non fa altro che
dare valore aggiunto a qualsiasi situazione sociale, evitando elementi come la
non comprensione, il fraintendimento, il pregiudizio, che ostacolano la
comunicazione efficace.
E’ proprio
a partire dalla diversità delle persone che il counselor deve comunicare.
Contesti sociali, culture, religioni, tradizioni sono spesso elementi che
influenzano le caratteristiche dell’individuo e non tenerne conto durante il
colloquio è un grosso errore. La stessa comunicazione ci consente di registrate
tutte queste informazioni attraverso le parole in quanto tali, e la
comunicazione non verbale. In questa fase un ruolo importante è ricoperto dalla
percezione.
Proviamo
ora ad immaginare se a fare da stimolo fosse un dialogo qualsiasi fra due
persone. La quantità di stimoli che riceviamo rispetto alla sua persona, al
contenuto del suo messaggio, alle modalità che utilizza nel trasmetterlo è
davvero enorme… Si tratta di una serie di input che diamo e riceviamo ma di cui
non sempre siamo consapevoli, e che comunque influenzano il momento che stiamo
vivendo con l’altro. Attraverso la varietà di sensazioni, ricordi, abitudini ed
esperienze vissute che, senza che ce ne accorgiamo, influenzano il nostro modo
di vedere le cose.
Partendo
da questi elementi è utile sottolineare che i principi che il counselor deve
utilizzare nel suo intervento sono:
1)
atteggiamento di interesse “aperto”: disponibilità senza
alcun pregiudizio o preconcetto di qualsiasi tipo, un modo di essere e di fare
che sia di aiuto e sostegno all’espressione spontanea dell’altro;
2)
un atteggiamento non giudicante che permette di ricevere e di
accettare tutto senza critiche, colpevolizzazione e consigli;
3)
un atteggiamento di non direttività basato sul presupposto
che non vi sia nulla di nascosto da cercare o verificare e che il cliente ha la
completa iniziativa nella presentazione del problema e nell’itinerario del
colloquio;
4)
una intenzione autentica di comprendere l’altro nella sua
propria lingua, di pensare con le sue parole, di scoprire il suo universo soggettivo. Ossia cogliere i
significati che la situazione ha per il cliente;
5)
uno sforzo costante per rimanere obiettivo e per controllare
tutto ciò che avviene nel corso del colloquio.
Il
counselor cerca di seguire il flusso comunicativo del cliente senza interferire
in modo che il cliente possa procedere con il suo pensiero, nella ricostruzione
dell’evento.
Lo scopo
primario del counselor è il tentativo di comprendere ciò che sta avvenendo nel
cliente come vive la situazione. Attraverso il colloquio il counselor può
aiutare nella chiarificazione di ciò che la persona sta vivendo, riordinano i
pensieri e le emozioni del cliente.
Nella
relazione interpersonale si organizzano delle dinamiche che se non riconosciute
possono essere elementi di disturbo ad esempio l’emotività, ossia quelle
emozioni che ognuno di noi porta con se come risultato delle proprie esperienze
di vita. Provare delle emozioni porta ad immedesimarsi nel vissuto dell’altro e
a quella che viene chiamata identificazione ossia provare le stesse emozioni
dell’altro come se fossimo al suo posto come se si provassero le sue stesse
difficoltà. Piuttosto che utilizzare l’identificazione, sarebbe meglio prendere
dimestichezza con l’empatia che è una forma di “simpatia fredda” che permette
di stabilire un distacco critico dall’altro così da liberare il campo
dell’attenzione e accompagnare l’altro in questo percorso.
Empatia
significa stare con l’altro nel suo disagio senza però far si che diventi
nostro. Possiamo rimanere abbastanza lontani da aiutarlo e abbastanza vicini
per poter partecipare assieme a lui al suo racconto e ai suoi vissuti.
L’empatia si produce attraverso la domanda “cosa proverei io se fossi al posto
del mio cliente nella situazione che mi ha appena descritto?”. Farsi questa
domanda aiuta a trovare delle risposte nella nostra esperienza o nella nostra immaginazione
che permettono di avvicinarsi al cliente e comprenderlo pienamente. L’empatia
occupa un posto chiave nel colloquio perché è ritenuta condizione necessaria
per instaurare l’intesa collaborativa senza la quale secondo alcuni studiosi
nessuna strategia di intervento può avere efficacia.
L’empatia
implica la capacità di selezionare dall’insieme degli elementi informativi che
l’utente presenta quelli che in modo immediato e chiaro permettono di cogliere
la situazione così come l’utente la percepisce.
Truax e
Mitchel (’71) offrono alcuni suggerimenti come condizioni che possono
promuovere un atteggiamento empatico da pare del professionista impegnato in un
colloquio:
comportarsi
in modo sincero, genuino, non difensivo; b. instaurare un’atmosfera sicura; c.
mantenere un elevato livello di comprensione della situazione momento per
momento. ESSERE EMPATICI : vuol
dire entrare nel mondo percettivo dell’utente, evidenziare le connessioni tra
emozioni e costrutti mentali, essere consapevoli di ciò che l’altro suscita a
livello emotivo, intuire il mondo consapevole e pre-consapevole del cliente ma
comunicare solo quel che è in grado di accettare.
L’ESPERIENZA
DELLA RELAZIONE EMPATICA
o
L’esperienza empatica è un’esperienza che
produce benessere
o
La comprensione empatica richiede il
possesso di una teoria della mente dell’altro, della sua prospettiva
o
L’empatia implica anche la capacità di
utilizzare informazioni che riguardano noi stessi per cercare di conoscere
un’altra persona
o
L’empatia aiuta a creare un ambiente
“sicuro”, accettante e non giudicante
o
L’empatia implica l’esperire attivamente
o
L’empatia coinvolge l’azione e la
comunicazione
o
È un modo di essere insieme, un incontro
reciproco
o
L’empatia produce dei cambiamenti nel Sé e
nel modo in cui il Sé si relaziona agli altri
PERCHE’ “CURA”
L’EMPATIA? POICHE’FACILITA L’ ACCETTAZIONE
o
Possibilità di sperimentare
o
e di essere accettati negli aspetti
manifestati
o
Allargare le nostre possibilità attraverso
l’esplorazione e una base sicura (counselor)
o
Accedere a nuove esperienze, quindi
cambiare
o
Apprendere un modello per riuscire a stare
con sé stessi, auto-aiuto (il dialogo counselor-cliente diventa un modello per
il dialogo interno)
Per
svolgere questo ruolo il counselor deve:
1) saper osservare
2) saper ascoltare
3) saper
rispondere
1 SAPER
OSSERVARE
L’operatore
osserverà nel cliente la comunicazione verbale ossia le parole ed il linguaggio
che utilizza e la comunicazione non verbale legata alla postura, al ritmo della
voce all’intensità del suo parlare e anche al modo in cui si presenta a noi
2 SAPER ASCOLTARE
Significa
centrare l’attenzione sull’interlocutore ed ascoltare il suo racconto ed il suo
vissuto senza giudicare. Nella fase di ascolto il counselor non partecipa con
il bisogno di dire la sua opinione. Questo consente di astenerci dal giudizio.
Ascoltare significa quindi sospendere il proprio punto di vista ed ascoltare il
cliente sforzandosi di capirlo in relazione al racconto e al vissuto che porta
nella relazione.
Il
counselor che stabilisce una relazione con il suo cliente lo accetta così come
è, non è direttivo. Lo asseconda nel suo percorso, ed è vicino a lui perché è
con lui ma è abbastanza lontano da averne anche una comprensione cognitiva.
Una
tecnica di base del counseling nell’ambito del saper ascoltare è l’ascolto
attivo e l’ascolto empatico.
Ascoltare
in modo attivo significa:
o
sapere perché si ascolta (il motivo);
o
essere abituati ad ascoltare;
o
resistere alle distrazioni;
o
comunicare interesse (protendere in
avanti);
o
mantenere il contatto oculare;
o
osservare i movimenti del corpo, le
espressioni del viso, la cura di sé, la postura, la corporatura.
Nell’empatia
entra in gioco la capacità di percepire. Percepire il punto di vista
dell’altro, il quadro che utilizza come riferimento, la sua esperienza vissuta,
i significati personali che attribuisce all’esperienza e i suoi sentimenti. Per
usare l’empatia è richiesta l’attenzione sia fisica che emotiva, il distacco da
sé attraverso il silenzio interno, l’obiettività e la sospensione dal giudizio.
Essere
empatici, significa usare l’empatia e comunicarla, significa poter essere
insieme all’altro e comprenderlo nelle sue difficoltà e nei suoi vissuti.
Possiamo
dire che essere empatici vuol dire uscire da se stessi per comprendere l’altro
senza per questo provare realmente le medesime emozioni. La possibilità e
l’abilità nel comunicare empatia consente il facilitare l’instaurarsi di un
clima sicuro all’interno della relazione in modo da consentire all’altro di
condividere le parti più profonde di sé migliorando il proprio funzionamento.
Usare delle risposte empatiche significa comunicare al cliente una comprensione
sincera del suo mondo, aiutarlo ad esprimere il proprio vissuto e le proprie
riflessioni comunicando il senso di sé più profondo ed autentico. Questo lo
aiuterà ad individuare il punto da cui vuole partire e l’obiettivo da
raggiungere. Il cliente sperimenterà la possibilità di condividere se stesso
pienamente apprendendo e sperimentando in modo diretto ciò che vuol dire essere
confermato, essere nutrito e ricambiato, ed essere accettato.
L’empatia
va di pari passo con l’autenticità. Essere autentico nella relazione, vuol dire
non utilizzare delle maschere con il cliente, permettendosi di avere i propri
ritmi e il proprio modo di stare in relazione. Questo per il counselor vuol
dire essere presente come essere umano nella relazione e non essere solo colui
che dal di fuori dirige i lavori.
3 SAPER
RISPONDERE
L’intervento
del counselor significa anche rispondere ma la risposta deve essere data in
modo che possa aiutare il cliente a chiarirsi. Attenzione quindi a quelli che
vengono definiti i VISSI:
Valutazione: in questo caso stiamo esprimendo un giudizio mentre
sappiamo che il counselor cerca di astenersi da ogni valutazione nel pieno
rispetto dell’identità e delle scelte altrui. La valutazione comporta anche che
qualche comportamento sia approvato e qualche altro no, entrando nella dinanica
giusto-sbagliato che rischia di attivare un conflitto tale da rompere
l’alleanza con il cliente.
Indagine: l’uso
delle domande chiuse o dirette. E’ sempre meglio utilizzare domande aperte
perché lasciano un’ampia possibilità di risposta, stimolano il campo percettivo
e consentono di approfondire ed ampliare la relazione. Sconsigliato l’uso di
domande chiuse perché sono troppo circoscritte e limitano la possibilità di
esprimersi. Sono prevalentemente basate su fatti oggettivi e non aiutano la
relazione.
Sostegno: il
sostegno eccessivo non aiuta la persona ma la compatisce e fa si che si eviti
la sofferenza impedendo di elaborare i vissuti emotivi che emergono. E’ UN ASPETTO CHE SI AVVICINA TROPPO ALLA RELAZIONE Genitore-Figlio
Soluzione: offrire
soluzioni, può significare cercare di liquidare velocemente il vissuto
dell’altro, disconfermandolo nel sentimento che sta provando e nella sua idea
di se stesso e del mondo che lo circonda.
Interpretazione:
significa attribuire dei significati che non necessariamente corrispondono al
reale vissuto del cliente. Si rischia di perseguire una strada che invece di
avvicinare, allontana il cliente dal counselor.
Un
counselor deve adottare una modo di risposta molto efficace che permette al
cliente di rimanere nel suo vissuto e di ricevere qualche altro dato in più. E’
importante che il cliente si senta ascoltato e capito e questo si ottiene
attraverso una risposta accogliente e facilitante.
TATTICHE
UTILI NEL COLLOQUIO
Chiarezza
di linguaggio: utilizzo di un linguaggio semplice,
libero da gergo o termini tecnici, usando parole di elevata frequenza e di
chiaro significato.
Ascolto
accurato: l’incapacità di ascoltare l’informazione
che l’utente presenta può facilmente indurre attribuzioni erronee di
significati e creare le condizioni di una relazione complementare nella quale
il counselor rende il cliente dipendente e incompetente.
a.
Indicazioni di base:
b.
attenzione ai temi generali
c.
tenere in mente l’obiettivo del colloquio
d.
mantenere viva l’attenzione
e.
lasciare che il cliente si esprima in modo
continuativo senza interruzioni
f.
accettare i momenti di silenzio
Le
introduzioni e le conclusioni: l’inizio
e la conclusione sono caratterizzati da espressioni particolari che indicano
che la persona è ascoltata volentieri, che è desiderata e accettata; la
comunicazione conclusiva segnala all’utente come la relazione è cambiata o
mantenuta o interrotta e quali sono le possibilità di ulteriore contatto. La
conclusione ha lo scopo di rendere un secondo incontro possibile e
desiderabile.
Darsi il
turno: funzionali sono gli stimoli non verbali
della posizione del corpo, vari suoni come “mmm”. Di fronte ad un fluire di
parole ed incapacità a fermarsi del cliente,si potrebbe mettere la mano avanti
e dire”aspetta, aspetta, stai dicendo alcune cose veramente importanti e tra
esse merita fermarsi un momento su…”.
Il
contatto visivo: un contatto moderato degli occhi rende
piacevole l’incontro ed è altamente informativo a riguardo delle preferenze e
dell’attrazione esistente tra le persone. Lo sguardo fisso è percepito come
minaccioso e le persone automaticamente si sottraggono ad esso.
LA
RELAZIONE DI ASCOLTO
L’ascolto
attivo richiede che siano attivati almeno 3 processi:
a.
Ascoltare quello che l’utente dice con le parole e con l’espressività corporea.
b.
Inquadrare nella propria esperienza interna con un atteggiamento di sospensione
quello che l’utente dice. L’operatore può rischiare, in questo stadio, di
ascoltare quello che vuole, creando grosse distorsioni.
c. Una
strategia per delimitare in modo costruttivo l’ambito dell’ascolto è quella di
arrivare presto ad una intesa sugli obiettivi che si intendono raggiungere nel
colloquio. Tale intesa viene chiamata contratto, il rispetto del contratto
richiede che l’ascolto rimanga relativamente focalizzato.
Attenzione
a tutte e 3 le modalità sensoriali di base della comunicazione: visiva, uditiva
e cinestetico- tattuale.
Dopo
l’ascolto attento di una comunicazione l’utente ha bisogno di esplorare la
propria esperienza e di allargare l’orizzonte della comprensione e dell’azione.
Le
tecniche principali sono: la riformulazione e l’uso del feedback .
La
riformulazione è quell’intervento che permette di ridire
con altre parole, in modo più consapevole e più chiaramente, ciò che l’altro ha
appena detto in modo tale che ci sia l’accordo tra quanto viene detto dal
cliente e quanto viene riformulato dal counselor. In questo modo il counselor è
sicuro di non inserire nel colloquio, elementi che sono estranei e di non
interpretare il racconto che gli è stato fatto. Se il cliente si riconosce
nella riformulazione sarà sicuro che il counselor lo ha ascoltato. Questo potrà
supportarlo nell’aprirsi maggiormente e raggiungere il suo obiettivo. D’altra
parte anche il counselor, ricevendo la conferma della riformulazione, può
essere certo di essere sulla buona strada per costruire una alleanza proficua
con il cliente.
Diversamente,
nel caso in cui il cliente non fosse contento della riformulazione proposta dal
counselor lo comunicherà subito, puntualizzando nuovamente il suo vissuto. A
questo punto, il counselor ha nuovamente la possibilità di riformulare il
contenuto della comunicazione. Il cliente deve essere riconosciuto dal
counselor come colui che sa, che è maggiormente al corrente della propria
situazione, dei propri vissuti e delle proprie decisioni, più di qualunque
altra persona. La riformulazione permette anche al cliente di comprendere il
riflesso di ciò che ha detto e gli aspetti che possono essere collegati alle
singole affermazioni.
Quattro
procedure per raggiungere tali obiettivi: Chiarire,
Parafrasare, Rispecchiare, Riassumere.
a. Chiarire:
il counselor che risponde con una domanda che stimoli un esame più attento di
quanto forse è stato detto in termini ambigui o nebulosi. La domanda comincia
con frasi “se ho capito bene, vuoi dire che…” “intendi dire che…”, “mi stai
dicendo che…”, mettendo al posto dei puntini le parole usate al cliente, o una
parafrasi di esse.
Nella
chiarificazione è opportuno osservare una sequenza precisa:
- cogliere
il contenuto verbale e non verbalr di quello che l’utente dice;
-
osservare se nella comunicazione ci sono aspetti imprecisi e vaghi che hanno
bisogno di specificazione e chiarimento
-
scegliere una frase introduttiva che sia rispettosa del cliente e fare la
domanda chiarificatrice. Es: potresti dire di più…? Potesti descrivere cosa fai
di prima di….? Se comprendo bene, vuoi dire che…? Se dovessi dire la stessa
cosa a una persona che sa assolutamente nulla di te, come lo diresti?...
b. Parafrasare:
il counselor riformula il contenuto descrittivo (informazioni che riguardano
l’evento, la situazione, le persone) di quello che il cliente ha detto.
Nel
parafrasare è utile tener presente i seguenti passi:
-
ascoltare e riformulare nella propria mente la comunicazione del cliente;
-
identificare il contenuto chiedendosi quale persona, situazione…, viene
descritto?
-
Scegliere una frase introduttiva adatta per la parafrasi da fare allineandosi
possibilmente con il canale sensoriale del cliente;
- Dopo la
frase iniziale inserire i contenuti chiave riformulandoli con parole proprie e
comunicare all’utente;
-
Verificare l’efficacia della parafrasi osservando la reazione del cliente.
c. Rispecchiamento:
è un modo di parafrasare, ma invece di focalizzare l’attenzione sul contenuto
descrittivo, l’attenzione è focalizzata sul sentire e sulle emozioni, il tono
emotivo dell’utente. Es: counselor: con tutti gli impegni che ti sono
venuti addosso ti senti senza spazi per te e preoccupata se puoi continuare a
farcela da sola.
Si possono
indicare alcune linee guida:
- cogliere
le parole che segnalano sentimento ed emozione nella comunicazione dell’utente;
-
osservare il non verbale mentre comunica le emozioni.
- Cercare
le parole per rimandare i sentimenti del cliente
- Trovare
una frase introduttiva per presentare i sentimenti verbalizzati. Per il canale
visivo: a guardarti in faccia sei irritato, è chiaro che tu senti irritato; per
l’uditivo: il tono della tua voce dice che ti senti irritato; per il
cenestetico si può quasi toccare la tua irritazione.
-
Verificare dalla reazione del cliente l’effetto del rispecchiamento: se nega, è
probabile che il rispecchiamento non è stato preciso, oppure è precoce e
l’utente non è pronto a coglierlo.
d. Riassumere:
significa allargare il processo della parafrasi riformulando il contenuto in
modo da evidenziarlo bene e legando insieme le diverse informazioni fornite.
Es: counselor: dopo tutte le energie impiegate nel prendere su di te da
sola tutte le responsabilità di papà privandoti di spazi personali e
rinunciando a momenti liberi, puoi guardare finalmente con un senso di sollievo
al mese di vacanza tutto per te.
Indicazioni
guida:
- riformula dentro di te quanto il cliente ha espresso. Cosa
ti ha detto, su cosa si è concentrato e soffermato?
- Che cosa ha ripetuto spesso?
- Verifica
l’efficacia del riassunto ascoltando quello che il cliente dice e osservando
quello che fa, se coglie il tema, se lo nega e se secondo te il riassunto
impoverisce o arricchisce l’essenza del colloquio avuto.
Il
feedback è uno strumento molto utile che si offre al
cliente. Non possiamo però dire tutto quello che pensiamo o proviamo ma dobbiamo
adattarlo al cliente tenendo in considerazione quello che è avvenuto in quel
momento. La caratteristica principale del feedback è quella di consentire al
counselor di esprimersi in prima persona facilitando l’attribuzione dei
messaggi.
Mentre tu
raccontavi..( riferendosi a ciò che il cliente ha raccontato)
Ho visto (
mani chiuse, mimica, postura)
Ho
ascoltato ( che dicevi, citavi)
Ho
immaginato ( che eri arrabbiato, triste)
Ho sentito
( tensione, calore)
Poi
possiamo aggiungere (riferendosi al momento presente)
adesso
vedo te ( che hai una posizione, il tuo viso..)
Immagino (
che tu sia soddisfatto…sorpreso…)
Pensa (
che tu sia irritato….felice…)
Sento ( il
mio cuore che batte forte…lentamente)
Gli stadi
previsti in un processo di aiuto:
a. la creazione di un rapporto collaborativo;
b. l’analisi della domanda e la creazione di obiettivi da
raggiungere. L’analisi della domanda implica una approfondita esplorazione
della situazione e di se stesi allo scopo di raggiungere una descrizione funzionale
della situazione globale, per cogliere cosa sta succedendo e cosa ha portato
l’utente a chiedere aiuto; tale informazione serve per identificare e definire
le problematiche di interesse in quel momento, e stabilire quali risultati
specifici si vogliono ottenere attraverso il colloquio.
c. La scelta di appropriate strategie di intervento e la loro
applicazione. Viene promossa e potenziata nel cliente la capacità di scegliere
e mettere in atto un piano d’azione e relative strategie fondate sull’analisi
fatta della situazione.
d.
Valutazione dell’intervento operato e la conclusione di esso.
Il
colloquio ha i suoi tempi. Abbiamo una fase iniziale che rappresenta il
primo impatto sia per il counselor che per il cliente. Qui si stabiliscono le
regole dell’incontro e le aspettative per far si che il cliente si senta
accolto e a suo agio.
Possiamo
identificare una seconda fase, la fase centrale del colloquio dove si
mettono in pratica le dinamiche del colloquio, della relazione e usa
attivamente il counseling
Useremo
l’ascolto attivo, l’ascolto empatico. Useremo la riformulazione per focalizzare
e chiarire al meglio ciò che ci ha detto il cliente.
Infine
possiamo individuare una fase finale, il momento della chiusura. In
questa ultima fase, si puntualizzano gli elementi più importanti che sono
emersi dal colloquio e si stabilisce l’incontro successivo. Possiamo utilizzare
il feedback fenomenologico per dare una restituzione completa di tutto ciò che
è emerso durante il colloquio e congedare il cliente chiudendo l’incontro.
E’
possibile che durante il colloquio ci siano alcuni elementi di disturbo che
rendono meno efficace l’incontro con il cliente. Questi disturbi possono
essere:
1) l’induzione ossia la capacità del counselor di influenzare
l’andamento del colloquio chiedendo in modo implicito e non necessariamente
consapevole al cliente di dire o non dire alcune cose. Dobbiamo considerare che
come tutti, anche il counselor a seconda del suo percorso di vita personale, è
in grado di gestire alcuni vissuti rispetto ad altri. Di fronte a situazioni
difficili potrebbe quindi indurre non intenzionalmente il cliente a sorvolare
su alcuni vissuti, su alcuni elementi per non dover gestire situazioni o
emozioni per lui troppo complicate. Attraverso domande o risposte che il
counselor verbalizza, è possibile spostare la linea del pensiero del cliente;
2) la paura del colloquio intesa come paura di gestire alcune
emozioni, paura di non saperle gestire davanti all’altro, proprio di fronte a
colui che ci chiede aiuto. Paura di non saper affrontare e condurre il
colloquio;
3) il silenzio ha in se numerosi significati ed è spesso
carico di emozione. Non avere dimestichezza con questi momenti può portare a
vivere il silenzio in modo poco produttivo ad esempio cercando di colmare
l’apparente vuoto delle parole facendo domande che interrompono il fluire delle
emozioni perdendosi dunque una parte importante della comunicazione;
4) condurre un colloquio per un certo periodo di tempo non è
da subito facile per tutti. La concentrazione, la relazione di vicinanza e lo
sforzo, magari all’inizio quasi meccanico del dover comprendere l’altro possono
pesare. Il rischio è anche quello di intervenire troppo spesso per il bisogno
di fare, perdendo completamente di vista l’altro;
5) l’etica
del colloquio: quali sono i limiti, a cosa mi devo attenere, come “indago” e se
lo faccio, come sforzarsi di non indagare?.
DISTURBI
DI ORDINE TECNICO: Rumori, Presenza di altre persone,
Telefono
DISTURBI
DI ORDINE PSICOLOGICO: Emotività, Soggezione, Antipatia
DISTURBI
DI ORDINE SOCIALE: Cultura, Modo di ragionare
DISTURBI
DI ORDINE FISIOLOGICO: Appetito, Stanchezza, Bisogni corporali,
Troppo caldo, troppo freddo
I FILTRI
CHE INFLUISCONO SU COME ASCOLTIAMO: Valori,
convinzioni, atteggiamenti, Memorie, ricordi, Immagini del passato e del
futuro, Aspettative, Ambiente fisico, Interessi, Sentimenti forti,
Supposizioni, Esperienza passata, Pregiudizi.
Per
ovviare a molti di questi elementi di disturbo la modalità del counseling,
utilizza alcuni punti di forza che abbiamo già individuato: l’empatia e la
sincerità.
BIBLIOGRAFIA:
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Locatelli, L’empatia integrata, Sovera, Roma 2000;
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Lazzari, Psicoterapia interpersonale integrata, Sovera, Roma 2003;
Giusti, la
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Roma 1991;
Rivista
Integrazione nelle psicoterapie e nel counseling, n 9/10- 2001;
Scilligo,
Io e tu, Vol I, Parlare capire e farsi capire, Ifrep, Roma 1991;
Scilligo,
Io e tu, Vol II, Ascoltare rispondere e cambiare, Ifrep, Roma 1993.
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