Mi piace la definizione data da Paolo Legrenzi (professore di psicologia presso l'Università di Venezia) che nel "2002/2010 prima lezione di scienze cognitive" trad. Laterza, dice a proposito delle scienze cognitive:" le scienze cognitive hanno come oggetto di studio la cognizione, e cioè la capacità di un qualsiasi sistema, naturale o artificiale, di conoscere e comunicare a se stesso e agli altri ciò che conosce."
Del resto non solo la filosofia ha ricercato significati alla riflessione sul problema della "conoscenza"
anche altri studi tra cui la psicologia che grazie al behaviourismo (studi basati su comportamenti osservabili direttamente escludendo i processi mentali) si è resa disciplina scientifica adottando il metodo sperimentale e rinunciando a tutto ciò che non lo è. La psicologia sperimentale poi per decenni ha basato i suoi assiomi sul meccanismo "stimolo-risposta", sottoponendo soggetti (umani e animali) a stimoli determinati e osservando la loro risposta.
Se da una parte i dati sperimentali accumulati hanno permesso di mettere in evidenza determinati meccanismi, dall'altra rimanevano ancorati a situazioni limitate, semplificate e non ripetibili.
Dalla Seconda Guerra Mondiale, i comportamenti umani derivati dai "meccanismi mentali" ebbero un diffuso interesse; i processi non direttamente osservabili, interni, portavano all'elaborazione di ipotesi sul "loro" funzionamento. Stava iniziando ad originarsi, anche se in maniera non consapevole la Psicologia Cognitiva.
Possono essere incluse nella grande famiglia della scienza cognitiva o per meglio dire delle scienze cognitive un numero diverso di discipline; gli altri campi possono essere l'intelligenza artificiale, la linguistica, la filosofia, le neuroscienze (neuropsicologia e neurofisiologia).
Anche se i confini delle scienze cognitive si elicitano indefinibili, ci sono altri studi che condividono lo stesso interesse per i nascosti significati della conoscenza e del sistema cognitivo.
La teoria di George Lakoff e Mark Johnson (1988) che non esiste differenza reale tra sistema semantico (verbale) e sistema concettuale è prettamente di matrice logico-linguistica.
La nostra base di conoscenza del mondo e del "modo" in cui interagiamo con esso è il sistema concettuale. I concetti ci aiutano a classificare la realtà, ci permettono quindi di "incasellare" in gruppi più ampi e conosciuti le singole circostanze ed evenienze che abbiamo ogni giorno.
E per i concetti astratti con cui spesso costruiamo i nostri ragionamenti?
Concetti, ragionamenti e modi in cui li utilizziamo rappresentano il modo in cui noi vediamo la realtà, quello che sappiamo di noi e del mondo che ci circonda, è fondamentale per il nostro pensiero e anche per il nostro agire. semplicisticamente potremmo dire che i sostantivi (i nomi) esprimono le categorie con cui classifichiamo gli oggetti del mondo, sia concreti che astratti; alcune congiunzioni ( quindi, e, se, etc...) rappresentano i tipi di nessi logici che noi utilizziamo nel ragionamento, a cui si accompagnano elementi sonori, visivi, olfattivi, cinestesici, etc. che fanno comunque parte del sistema concettuale.
L'idea di questi due studiosi Lakoff e Johnson è quella di studiare questo sistema concettuale, il modo cioè in cui sono strutturati al loro interno e tra loro, attraverso la manifestazione del linguaggio verbale.
Essi notano infatti
che:
noi non siamo
consapevoli del nostro sistema concettuale; nella maggior parte delle piccole
azioni
che quotidianamente
compiano, noi semplicemente pensiamo e agiamo in modo più o meno
automatico, seguendo
certe linee di comportamento. La difficoltà risiede proprio nel definire cosa
sono queste linee.
Una possibilità per
individuarle è prendere in considerazione il linguaggio; infatti dal momento
che la
comunicazione è
basata sullo stesso sistema concettuale che regola il nostro pensiero e la
nostra
azione, il linguaggio
costituisce un’importa nte fonte per determinare come è fatto questo sistema
[Lakoff-Johnson 1998:
21-22].
Si accorgono che i nostri discorsi sono intessuti di metafore continuamente e molto più della nostra consapevolezza al riguardo, e le metafore di cui imbeviamo i nostri discorsi non sono quelle classiche ed elementari, sono invece sottili e irriconoscibili; poiché sono gli stessi concetti che hanno un organizzazione metaforica.
Se prendiamo la metafora discussa da loro nel 1988 LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA, dall'idea che la discussione, sotto certi aspetti, sia una guerra, viene analizzata secondo diverse realizzazioni.
LA DISCUSSIONE È UNA
GUERRA
Le tue richieste sono
indifendibili.
Egli ha attaccato
ogni punto debole nella mia argomentazione.
Le sue critiche hanno
colpito nel segno.
Ho
demolito il suo argomento.
Non ho mai avuto
la meglio su di lui in una discussione.
Non sei d’accordo? Va
bene, spara!
Se usi questa strategia,
lui ti fa fuori in un minuto.
Bisogna specificare che quando parliamo delle discussioni in termini di guerra, lo facciamo nella convinzione di vincere o perdere, vedendo la persona con cui stiamo discutendo come un nemico, attacchiamo le sue posizioni difendendo le nostre, guadagnando o perdendo terreno, usando strategie e facendo piani di "guerra", abbandonando una posizione indifendibile scegliamo una nuova linea di aggressione.
Spesso quando discutiamo siamo strutturati nella relazione attraverso il concetto di guerra e sebbene non ci sia un combattimento fisico ma solitamente verbale, esso si riflette sulla nostra discussione: difesa, attacco, contrattacco, offesa, etc., In questo senso la METAFORA DISCUSSIONE è pienamente GUERRA: struttura le azioni che noi compiamo quando discutiamo.
Se invece proviamo ad immaginare una situazione dove le discussioni non siano viste in termini di GUERRA, dove non ci sia nessun senso nell'attaccare o nel difendere, nel guadagnare o perdere, dove nessuno vinca a discapito di un altro. Immaginiamo una cultura dove la discussione viene vista come una DANZA, oppure una esibizione in cui i partecipanti sono visti come attori e lo scopo è una rappresentazione esteticamente piacevole ed equilibrata. In questa cultura la gente vedrà e vivrà le discussioni in modo completamente diverso, le condurrà in modo diverso e ne parlerà in modo diverso. E' forse assai probabile, direi ovvio che dal nostro punto di vista questa gente non starebbe discutendo ma facendo qualcosa di diverso.
Sarebbe strano perfino descrivere la loro "azione" come discussione. Forse il metodo più neutrale per descrivere la differenza fra la cultura nostra e la loro, sarebbe dire che noi abbiamo una forma di discorso strutturata in termini di "combattimento", mentre loro ne hanno una strutturata in termini di "danza".
questo è solo un esempio di cosa significa esplicitando un concetto metaforico: la discussione è una guerra, che struttura almeno in parte ciò che facciamo e come comprendiamo ciò che stiamo facendo nel corso di una discussione. L' essenza di una metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa in termini di un altro. Le discussioni e le guerre sono cose diverse, discorsi verbali e conflitti armati letali in cui le azioni compiute sono realmente DIVERSE.
Il concetto è strutturato metaforicamente, la discussione viene strutturata, compresa, eseguita, definita, solo in termini di guerra, l'attività del discutere è strutturato metaforicamente e di conseguenza il linguaggio si assoggetta alla stessa struttura metaforica.
questi sono i modi consueti di avere discussioni o di parlarne: attaccare la posizione di altro viene definita semanticamente proprio con le parole " attaccare la posizione". Il nostro parlare nelle discussioni presuppone una metafora di cui non siamo mai consapevoli e non solo nelle parole che usiamo è inserita la metafora ma nel concetto stesso di discussione; il linguaggio con cui viene definita non è né poetico, né retorico, né fantasioso ... è LETTERALE: ne parliamo in quel modo perché viene concepito da noi in quel modo e ci comportiamo secondo le concezioni che abbiamo delle cose.
L’ipotesi di Lakoff e Johnson è a questo punto chiara: il sistema concettuale è spesso organizzato in
maniera metaforica.
Il concetto di DISCUSSIONE viene strutturata come metafora di altri concetti, ad es la GUERRA
Avviene soprattutto per quei concetti particolarmente astratti o lontani dalle nostre esperienze che quindi risultano per questo poco chiari.
La loro metaforizzazione viene in nostro soccorso per renderceli accettabili in termini di un altro concetto che ci è più noto e che ci permette quindi di comprenderli più facilmente (e che può essere stato a sua volta precedentemente metaforizzato).
Esempio tipico è quello dei concetti astratti il cui significato risiede nel nucleo della personale esperienza percettiva del mondo e quindi più familiari, chiari e più significati proprio perché personali.
Potremmo dire allora che queste esperienze personali e "personalizzate" rappresentano la base della nostra vita conoscitiva , del nostro sistema concettuale. Base sulla quale si costruisce il resto del sistema concettuale e spesso attraverso successive estensioni metaforiche.
Come scrivono Lakoff e Johnson (1998: 81):
" noi generalmente
concettualizziamo il non fisico in termini del fisico, cioè
concettualizziamo
ciò che è meno
chiaramente delineato in termini di ciò che è più chiaramente delineato. "
Lakoff e Johnson chiamano strutturali le metafore che strutturano un concetto nei termini di un altro concetto. In altre parole, se per esempio sto considerando la metafora secondo la quale “la discussione è una guerra”, non mi fermerò a questa prima considerazione, ma articolerò la metafora cogliendo tutta una serie di somiglianze fra la situazione “discussione” e la situazione “guerra”.
E' sicuro che i due concetti non si sovrappongono mai totalmente altrimenti sarebbero lo stesso concetto; la metafora mette in evidenza determinati aspetti (quelli che manifestano somiglianza con l'altro concetto) del concetto metaforizzato, mentre trascura o nasconde gli altri.
metafore diverse ci restituiranno concezioni diverse e aspetti diversi dei concetti come abbiamo visto per il caso della DISCUSSIONE che può essere metaforizzata come GUERRA o come DANZA.
Quando le metafore strutturano insiemi di concetti e non solamente i singoli concetti; per organizzare fra di loro i rapporti possono essere usati concetti di partenza e in questo caso sono determinanti le cosiddette METAFORE di ORIENTAMENTO, poiché molte di loro hanno a che fare con l'orientamento spaziale: su - giù, dentro - fuori, davanti - dietro, etc..
Nel linguaggio quotidiano, si possono identificare metafore spaziali che portano con se valori profondi legati alla priopercezione, l'immediata valorizzazione del proprio ESSERCI in relazione agli imput esterni ricevuti nel corpo e attraverso il corpo: in che senso distinguiamo il discorsi alti dai discorsi bassi? una persona profonda da una superficiale? Questi orientamenti spaziali derivano dalla costituzione stessa del nostro corpo e dal suo funzionamento fisico che ci circonda.
LE METAFORE di ORIENTAMENTO danno al concetto un orientamento spaziale: ad esempio il concetto "contento" è su, il fatto che sia orientato nella direzione su determina espressioni come "oggi mi sento su di morale".
Questi ORIENTAMENTI METAFORICI hanno base nella nostra esperienza fisica e culturale. non sono arbitrari. E sebbene le opposiszioni su-giù, dentro - fuori, etc., siano di natura prettamente fisica le metafore di orientamento basate su di esse possono variare da cultura a cultura.
poiché queste METAFORE di ORIENTAMENTO servono a strutturare sistemi di concetti, deriva che se un "contento è su", allora "triste è giù". Avremo così insieme espressioni come "avere il morale alto", "sentirsi giù", "essere depresso", "avere il morale a terra o basso", etc..
La teoria dei due studiosi Lakoff e Johnson è in armonia con la posizione di U. Eco che sostiene la necessità di considerare contestualmente i processi metaforici, mai riducibili a semplici operazioni su parole singole e l'inutilità di formulare distinzioni troppo rigide o assolute fra proprietà essenziali dizionariali o concettuali e proprietà enciclopediche
Il meccanismo sul quale si basa la metafora (e che dai due autori americani non viene analizzato approfonditamente) è lo stesso: una “similarità”, ovverosia una comunanza di determinati tratti.
Anche il fatto che una metafora metta in evidenza determinati aspetti del concetto e ne nasconda
altri può essere ricondotta all’idea echiana della metafora che esalta alcuni tratti e ne narcotizza altri.
sul nostro sistema concettuale.
Nell'interazione UOMO MACCHINA, Hci (Human-Computer Interaction) questa concezione più ampia della metafora, intesa come meccanismo e strumento cognitivo, sta incontrando successo e approvazione, mettendo in evidenza come spesso un utente che non conosce un determinato sistema riesce comunque ad interagire con esso richiamando esperienze e modelli acquisiti in situazioni simili (Mantovani 1995)
Più in generale sembra in larga
parte metaforico il
processo attraverso il quale molte innovazioni tecnologiche vengono metabolizzate.
Molto spesso infatti
una nuova tecnologia, per essere accettata dai suoi potenziali utenti, deve presentarsi con un
aspetto familiare. Deve, in altre parole, proporsi sotto una veste che metta in
evidenza la
continuità rispetto al passato e il parallelismo con altre tecnologie già
esistenti (stesso aspetto, stesse
funzioni, ecc.). In questo modo l’utente è facilitato, perché tenderà ad
utilizzare di
f
ronte alla nuova
tecnologia modelli di comportamento e di fruizione che ha sviluppato in altre circostanze.
Basti pensare al caso
esemplare delle interfacce grafiche per i sistemi operativi in cui venne utilizzata l’idea della scrivania. In questo modo una serie di funzioni
che precedentemente
erano attivabili solo attraverso criptiche istruzioni venivano “ancorate” ad oggetti di uso
comune. Ovviamente il legame fra questi oggetti e la funzione (informatica) che
attivavano era
metaforico: il cestino per buttare vecchi file, la busta da lettere per inviare
o ricevere messaggi, un foglio
di carta per il programma di scrittura, ecc. Insomma, l’utente inesperto imparava a gestire l'interfaccia del suo computer "come se" si trovasse di fronte alla sua scrivania.
Oggi i siti Internet più famosi sono i cosiddetti “portali”, che si presentano con un’interfaccia che richiama direttamente quella del quotidiano. In questo modo l’utente, prima di sviluppare una competenza specifica, sarà indirizzato a fruire la home page del portale “come se” si trattasse della prima pagina di un giornale. E il portale ha del giornale, almeno in parte, la funzione informativa. Solo che l’informazione veicolata non si ferma a quella tipica della prima pagina dei quotidiani. Se analizziamo le home page dei portali e le prime pagine dei quotidiani da un punto di vista visivo ci accorgiamo di numerose analogie. Dell’organizzazione spaziale: rettilineo (alto/basso, destra/sinistra, ecc.) e curvilineo (centrale/periferico, circoscrivente/circoscritto). Ed è su opposizioni come alto/basso, destra/sinistra che si regge la struttura del portale, riprendendo in questo l’impostazione “a moduli” del quotidiano. I due tipi di testi, infatti, sono solitamente organizzati in modo simile. Ora senza stare a fare una analisi dettagliata e topografica del sistema in uso nel web, dal punto di vista eidetico (cioè dello studio di quelle che il linguaggio comune chiama “forme”) tanto i portali quanto i quotidiani si caratterizzano, in accordo con la loro struttura topologica, per la presenza quasi esclusiva di linee rette e per il predominio dell’ortogonalità (quadrati, rettangoli, ecc.). I valori cromatici sono sempre saturi e ben definiti: vengono utilizzati per lo più i colori fondamentali. In questo caso, quindi, la somiglianza visiva fra i due tipi di testi (prima pagina del quotidiano e home page del portale) ci consente di creare un legame metaforico e di utilizzare la seconda “come se” ci trovassimo di fronte alla prima.
La stessa cosa accade con la diffusione di
un nuovo medium. Bolter e Grusin [2002], ispirandosi a McLuhan, parlano in questo caso di remediation,
cioè del processo attraverso il quale ogni nuovo medium riprende alcune caratteristiche
comunicative dei suoi predecessori. Possiamo fare un sempio concreto, per far comprendere
meglio come funziona questo meccanismo.
Oggi i siti Internet più famosi sono i cosiddetti “portali”, che si presentano con un’interfaccia che richiama direttamente quella del quotidiano. In questo modo l’utente, prima di sviluppare una competenza specifica, sarà indirizzato a fruire la home page del portale “come se” si trattasse della prima pagina di un giornale. E il portale ha del giornale, almeno in parte, la funzione informativa. Solo che l’informazione veicolata non si ferma a quella tipica della prima pagina dei quotidiani. Se analizziamo le home page dei portali e le prime pagine dei quotidiani da un punto di vista visivo ci accorgiamo di numerose analogie. Dell’organizzazione spaziale: rettilineo (alto/basso, destra/sinistra, ecc.) e curvilineo (centrale/periferico, circoscrivente/circoscritto). Ed è su opposizioni come alto/basso, destra/sinistra che si regge la struttura del portale, riprendendo in questo l’impostazione “a moduli” del quotidiano. I due tipi di testi, infatti, sono solitamente organizzati in modo simile. Ora senza stare a fare una analisi dettagliata e topografica del sistema in uso nel web, dal punto di vista eidetico (cioè dello studio di quelle che il linguaggio comune chiama “forme”) tanto i portali quanto i quotidiani si caratterizzano, in accordo con la loro struttura topologica, per la presenza quasi esclusiva di linee rette e per il predominio dell’ortogonalità (quadrati, rettangoli, ecc.). I valori cromatici sono sempre saturi e ben definiti: vengono utilizzati per lo più i colori fondamentali. In questo caso, quindi, la somiglianza visiva fra i due tipi di testi (prima pagina del quotidiano e home page del portale) ci consente di creare un legame metaforico e di utilizzare la seconda “come se” ci trovassimo di fronte alla prima.
Possiamo quindi sostenere con un certo
senso di la nostra vita è pervasa da metafore
Bibliografia
Bolter, J.D., Grusin,
R., 2002, Remediation, Guerini e Associati, Roma (tit. orig. Remediation.
Understanding
New Media, MIT Press, Cambridge 1999)
Changeux, P., 1983, L’uomo
neuronale, Feltrinelli, Milano (tit. orig. L’homme neuronal,
Libraire
Arthème Fayard, 1983)
Eco, U., 1984, Semiotica
e filosofia del linguaggio, Bompiani, Einaudi
Lakoff, G., Johnson,
M., 1998, Metafora e vita quotidiana, Bompiani, Milano (tit. orig. Metaphores
we
live by, University of Chicago Press, Chicago 1980)
Legrenzi, P., 2002, Prima
lezione di scienze cognitive, Laterza, Bari-Roma
Mantovani, G, 1995, L’interazione
uomo-computer, Il Mulino, Bologna
Pessa, E., Penna,
M.P., 2000, Manuale di scienza cognitiva, Laterza, Bari-Milano
Polidoro, P., 2002,
“Essere in rete: banner e portali”, in P ezzini, I., Trailer, spot, clip,
siti, banner.
Le
forme brevi della comunicazione audiovisiva, Meltemi, Roma
Tabossi, P., 1998, Intelligenza
naturale e intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna
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