Per uno strano caso, il primo lavoro di Albert, il
padre di Milton Erickson, presagiva quella che sarebbe divenuta la professione
di suo figlio: si ritrovò con un contratto di un anno come infermiere in un
ospedale psichiatrico, con permessi solo saltuari per andare a trovare sua
moglie a casa.
Successivamente il sangue vichingo
e lo spirito di avventura che in quei tempi eroici spingeva a esplorare terre
sconosciute portarono Albert a rispondere al richiamo delle miniere d’argento
del Nevada.
La famiglia Erickson viaggiò dunque in treno e in
carro fino ad arrivare nel minuscolo villaggio di Aurum, nel Nevada. Il viaggio
a Ovest fu difficile, pieno di quei disagi tipici delle avventure dei pionieri:
vi furono carenze di cibo e d’acqua, rigide notti, forti tempeste di vento da
sopportare, senza contare la resistenza fisica richiesta per il lungo tragitto.
Una volta arrivata, la famiglia si stabilì in una capanna di tronchi dal
pavimento di terra, con tre sole pareti (la quarta era costituita da una
montagna!) in una zona desolata della Sierra Nevada. Costantemente assillati da
penuria di viveri, i pionieri divennero bravissimi nel trasformare ciò che
avevano a disposizione in ciò di cui avevano bisogno.
Ad Albert e Clara piaceva raccontare di quando
conservavano la gelatina nelle bottiglie di whisky – la gelatina la si poteva
tirare fuori con un coltello – perché i vasi a bocca larga, che erano di meno,
servivano per conservare altri cibi. Certamente il fatto di crescere in un
ambiente di questo tipo deve avere contribuito a formare la base di ciò che
alla fine avrebbe caratterizzato gli approcci molto innovativi alla terapia
Milton: l’utilizzare in modo creativo tutto ciò che è
disponibile nella persona al fine di ottenere cambiamento e guarigione.
L’amore per la natura e lo spirito
pionieristico così evidenti nelle prime vicende della sua famiglia erano ancora
un aspetto caratteristico della personalità di Milton quando lo conobbi,
nell’ultimo decennio della sua vita.
Primi anni della vita di Erickson:
differenze di costituzione e percezioni alterate
Dato che Erickson nacque e crebbe in una terra di
frontiera e in campagna, poté avvalersi di poche istituzioni sanitarie o
educative. L’”istruzione” che si impartiva era di tipo semplice, limitata
all’essenziale, ed è forse per questo che (a quanto sembra) nessuno si accorse
che il giovane Milton percepiva il mondo in un suo modo del tutto peculiare.
Molti dei primi ricordi di Erickson riguardano il modo
in cui, per via di vari problemi di costituzione, le sue percezioni erano
diverse da quelle degli altri: per esempio, era daltonico; inoltre era affetto
da sordità tonale e non poteva né riconoscere né eseguire i ritmi tipici della
musica e delle canzoni; era poi anche affetto da dislessia – un problema che
indubbiamente la sua mente di bambino non riusciva a capire e che egli
riconobbe e capì solo molti, molti anni dopo. Le incomprensioni, le discrepanze
e la confusione che derivavano da queste differenze rispetto alla visione del
mondo che era comune e normale negli altri avrebbero potuto menomare il
funzionamento mentale di un’altra persona. Nel giovane Milton, invece, queste
differenze crearono a quanto pare l’effetto opposto: stimolarono la sua ricerca
e la sua curiosità. Ma, cosa
più importante, esse portarono a una serie di esperienze inusuali che
costituirono la base di una ricerca, durata tutta una vita, sulla relatività
delle percezioni umane riguardanti tali problemi. Forse fu per via della
confusione generata da tali difficoltà di percezione che il giovane Milton
imparò a fare più domande di quante ne faccia la maggior parte dei bambini
della sua età. Un esempio: prima ancora di avere dieci anni, Milton volle
sapere perché suo nonno piantava le patate a pancia in su, e sempre in una data
fase lunare. Non contento della risposta ricevuta, passò a ideare e mettere in
atto il suo primo esperimento controllato: piantò alcune file di patate con le
gemme rivolte in tutte le direzioni e diverse fasi lunari; mentre ne piantò
altre seguendo il metodo del nonno. Rimase però molto male quando il nonno non
volle credere che tutte le file di patate avevano dato gli stessi risultati!
La poliomielite e la scoperta
spontanea dell’ipnosi
Se c’è mai stato qualcuno che ha impersonato
l’archetipo del medico malato – colui che impara a guarire gli altri guarendo
innanzitutto se stesso – questi fu Milton H. Erickson. L’esperienza più
formativa nei suoi primi anni di vita fu la sua prima lotta con la poliomielite
all’età di diciassette anni (il secondo attacco lo ebbe all’età di 51 anni). Il
modo in cui Milton si riprese costituisce uno dei racconti di auto-guarigione e
scoperta più affascinanti che io abbia mai sentito. Quando si svegliò dopo quei
tre giorni, si trovò quasi del tutto paralizzato: sentiva i suoni molto bene,
vedeva e poteva muovere le pupille, poteva parlare, con grande difficoltà, ma
per il resto non poteva fare nessun altro movimento.
Nella sua comunità rurale non esisteva nessuna
struttura per la riabilitazione, e a detta di tutti egli sarebbe rimasto senza
l’uso degli arti per tutto il resto della sua vita. Ma la sua acuta
intelligenza continuò a lavorare. Egli imparò, per esempio, standosene tutto il
giorno a letto, a fare dei giochi con la mente, interpretando i suoni che gli
provenivano dall’ambiente: dal suono che faceva la porta della stalla nel
chiudersi, e dal tempo che impiegavano i passi a raggiungere la casa, lui
riusciva a dire di che persona si trattava e di quale umore era. Poi venne il
famoso giorno in cui i suoi familiari si scordarono di averlo lasciato da solo,
inchiodato nella sedia a dondolo. (Gli avevano costruito una specie di
primitivo vaso da notte intagliando un foro nel sedile). La sedia a dondolo si
trovava all’incirca nel mezzo della stanza, e Milton, seduto in essa, guardava
ardentemente la finestra, col desiderio di esservi più vicino, in modo d’avere
almeno il piacere di poter guardare la fattoria lì fuori. Mentre era lì seduto,
apparentemente immobile, preso dai suoi desideri e dai suoi pensieri,
improvvisamente si rese conto che la sua sedia aveva cominciato a dondolare
leggermente. Che enorme scoperta! Era un caso? Oppure il suo desiderio di
essere più vicino alla finestra non aveva forse effettivamente stimolato
qualche minimo movimento del corpo, che aveva cominciato a far dondolare la
sedia?
Questa esperienza, che probabilmente alla maggior
parte di noi sarebbe passata inosservata, portò il ragazzo diciassettenne a un
periodo di febbrile esplorazione di sé e di scoperta. Milton stava scoprendo da
solo il principio ideomotorio fondamentale dell’ipnosi esaminato da Bernheim
una generazione prima: che il solo pensiero o la sola idea di un movimento
potevano portare all’effettiva esperienza di un movimento automatico del corpo.
Nelle settimane e nei mesi che seguirono, Milton andò a ripescare tutti i suoi
ricordi sensoriali per cercare di reimparare a muoversi. Per esempio, si
guardava per ore e ore la mano, e cercava di ricordare che sensazione gli
avevano dato le dita quando tenevano un forcone. A poco a poco si accorse che
le sue dita cominciavano a fare dei piccoli scatti e a muoversi leggermente in
modo scoordinato. Continuò sino a che i movimenti diventarono più ampi, e lui
potè controllarli coscientemente. E in che modo la mano afferrava un ramo
d’albero? Come si muovevano le gambe, piedi e dita quando si arrampicava su un
albero?
Non erano semplici esercizi di immaginazione; erano
esercizi di attivazione di reali ricordi sensoriali – ricordi che
ri-stimolarono la sua coordinazione senso-motoria tanto da permettergli di
guaririe.
Ma perché potesse guarire era
necessario qualcosa di più della semplice introspezione: l’osservazione del
mondo esterno. Fortunatamente in quel periodo la sua sorella minore, Edith
Carol, stava appena imparando a camminare. Milton iniziò una serie di
osservazioni giornaliere nelle quali notava il suo modo (soprattutto inconscio)
di imparare a camminare, in modo da poterlo copiare consapevolmente, e così
costringere il proprio corpo, a fare lo stesso. Dopo undici mesi di questo
intensivo allenamento, Milton camminava ancora sulle stampelle, ma stava
imparando rapidamente a camminare in modo sempre meno faticoso, in modo da
sottoporre a minima tensione il suo corpo.
Gli anni del College e della Facoltà
di Medicina
Dopo il suo primo anno di matricola all’Università del
Wisconsin, un medico gli consigliò di passare un’estate all’aria aperta per
acquistare salute e irrobustire il suo corpo. Da persona che non si poneva
obiettivi facili, Milton decise che quel che ci voleva per lui era un viaggio
in canoa. Non disponendo delle risorse finanziarie che gli potessero garantire
grandi comodità, Milton si preparò a lanciarsi in questo viaggio con soli
quattro dollari in tasca e, come sperava, un amico al suo fianco. Dato che la
sua capacità di guidare una canoa era nel migliore dei casi irrisoria
(immaginatevi di lottare per far entrare e uscire dall’acqua una canoa reggendo
contemporaneamente un paio di grucce!), sembrava evidente che un compagno
sarebbe stato non solo opportuno, ma anche indispensabile.
Tuttavia all’ultimo momento il suo amico decise di non
partire, cosicché l’indomito Milton si mise in viaggio tutto da solo nel giorno
che aveva stabilito. (Ebbe l’accortezza di non dire ad Albert e Clara che il
loro figlio inesperto e handicappato si riprometteva di scendere da solo lungo
le rapide). Equipaggiato con riserve di cibo per due settimane, il necessario
armamentario per cucinare, una tenda e un certo numero di libri, Milton si mise
a discendere la corrente con l’intenzione di procedere in quella direzione sino
al momento di invertire la marcia. Darsi una precisa destinazione, a suo
avviso, non avrebbe fatto che rendere tedioso il viaggio.
Lungo la strada gli capitarono molte piccole
avventure. All’inizio del viaggio se ne uscì a pescare un mattino presto, ma
non fu in grado di uscire nuovamente dal lago sino al pomeriggio: i forti
venti, uniti alla sua debolezza fisica lo costrinsero a molte ore di dura
lotta. Ben presto, tuttavia, divenne bravissimo nel sollecitare in modo
indiretto l’aiuto degli altri in tutte quelle situazioni che non riusciva ad
affrontare da solo, come superare una diga e così via.
Riuscì anche a farsi invitare a pranzo più di una volta da qualche
campeggiatore, e con loro passava il pomeriggio attorno a una tavola piena di
cibo scambiando racconti d’avventure.
Sembrava che gitanti e campeggiatori trovassero
qualcosa d’affascinante nel giovane Milton. (Ed effettivamente questo suo
disporre le cose in modo che gli altri gli dessero ‘spontaneamente’ aiuto era
valso a Milton il soprannome di “Eric il Tasso”, affibiatogli dai compagni di
scuola del Wisconsin. Quante volte, metà contenti e metà pieni di rammarico non
si erano trovati a concedere, senza nemmeno sapere perché, certi vantaggi in
situazioni di competizione a questo curioso ma astuto ragazzo di campagna!)
.
Qua e là nel suo viaggio, Milton trovò lavoro
temporaneo presso vari contadini, guadagnando così abbastanza denaro da
costruire le proprie provviste. Scoprì anche che la sua capacità di cucinare
poteva essere usata come mezzo di scambio: riuscì infatti a pagarsi una parte
del suo viaggio lunga 400 chilometri semplicemente cucinando per due giovani
che stavano avendo un’avventura estiva simile alla sua. All’epoca in cui Milton
cominciò il viaggio di ritorno, la sua forza muscolare era aumentata al punto
che era in grado di pagaiare contro corrente e, cosa più importante, di
trasportare la canoa senza bisogno d’aiuto.
Alla fine del viaggio durato dieci settimane, l’elenco
delle cose che aveva fatto era ancora più notevole: aveva navigato per quasi
duemila chilometri di fiume, ricorrendo esclisivamente alla propria
intelligenza e alle proprie risorse; aveva iniziato il viaggio con quattro
dollari e lo terminava con otto; era partito sulle stampelle e tornava
zoppicando in modo solo leggero (ma permanente); e per finire quando era
partito era un debole malaticcio, e al ritorno era un robusto giovane con un
nuovo senso di fiducia, di orgoglio e di autonomia personale.
Così rianimato e rafforzato dall’eroica avventura
estiva, Milton tornò al college sprizzante d’energia e di determinazione a
colmare le prime lacune della semplice educazione ricevuta.
Un tratto assolutamente originale e distintivo di queste prime ricerche di
Erickson era costituito dalla sua attenta osservazione del sottile intergioco
tra i meccanismi mentali dello stato di veglia e quelli dello stato di trance.
Erickson dimostrò in che modo gli stati alterati e i fenomeni di trance
costituissero anche parte normale della vita di tutti i giorni. Questa sua
intuizione costiuì il principio di base dei suoi successivi studi sulla
psicopatologia, oltre che per lo sviluppo degli approcci naturalistici e di
utilizzazione all’ipnoterapia.
In questo modo Erickson trasformò la vecchia
concezione autoritaria dell’ipnosi in un approccio permissivo e di
facilitazione. Ora non c’erano più suggestioni meccaniche impresse in modo
automatico nella mente ‘vuota’ della persona in trance; piuttosto, Erickson
vide lo stato ipnotico di trance come uno stato di dinamica complessità e
individualità, nel quale le capacità personali del soggetto potevano essere
utilizzate per facilitare il processo di guarigione.
All’età di ventitré anni, quando era ancora studente
in medicina, Erickson si sposò per la prima volta. Da questo matrimonio, che
durò dieci anni prima di finire con un divorzio, egli ebbe tre figli. So molto
poco delle sue vicende personali in quel periodo della sua vita, ma dai pochi
riferimenti casuali che Erickson vi ha fatto, appariva molto evidente che
l’isolamento sociale e culturale cui era stato soggetto nei primi anni di vita
gli aveva lasciato una certa ingenuità in campo sociale, e una certa carenza di
capacità di giudizio riguardo ai rapporti con gli altri. In ogni caso il dolore
e la confusione che gli derivano da questo primo sfortunato matrimonio lo
portarono a focalizzare la sua attenzione sul capire le donne e i rapporti
umani.
Sentiva di essere cresciuto con molte significative
lacune nella comprensione degli altri, e per tutta la sua vita d’adulto dovette
lavorare coscienziosamente per colmarle. Quando lo conobbi, sulla settantina,
era suo principio fondamentale ritenere che tutti gli adulti normali avessero
lacune del genere, che anch’essi dovevano colmare, continuando a imparare su se
stessi per tutto l’arco della vita. Sino al momento del primo matrimonio,
Erickson si era dovuto per forza concentrare soprattutto sui suoi problemi di
salute fisica e di benessere mentale. Ora si rendeva conto che doveva espandere
la propria attenzione al di là di se stesso, anche alle difficoltà dei rapporti
di coppia e con gli altri. Questa lezione appresa a così caro prezzo divenne
dunque un’altra delle strade che con sofferenza personale lo portarono a essere
pioniere in un nuovo campo professionale: Erickson fu infatti negli anni
Quaranta e Cinquanta uno dei primi psichiatri che in seduta trattassero coppie
e famiglie tutte intere.
Primi anni di ricerca
Nel 1928, subito dopo essersi laureato all’Università
del Wisconsin, Erickson entrò a fare internato come medico al Colorado General
Hospital e come psichiatra al Colorado Psychopathic Hospital. Successivamente
venne nominato assistente allo State Hospital for Mental Diseases di Howard,
Rhode Island (1929-1930). La sua tesi di laurea aveva avuto come tema la
deficienza mentale, e ora egli ampliò il lavoro svolto, esplorando i rapporti
tra fattori quali intelligenza, matrimonio, abbandono e crimine. Le sue
conclusioni vennero riportate da svariate riviste mediche, di scienze sociali e
di diritto in una serie di sette articoli pubblicati tra il 1929 e il 1931. Fu
solo all’epoca dei vari incarichi che ricoprì al Worcester State Hospital del
Massachusetts (1930-1934), in cui iniziò da giovane medico e terminò come
psichiatra primario dei servizi di ricerca, che pubblico il suo primo scritto
riguardante l’ipnosi: “Possibili effetti nocivi dell’ipnosi sperimentale”.
In questo scritto si occupava della prima cosa che
aveva dovuto fare in un ambiente ospedaliero e professionale che inizialmente
era ostile a quella che molti consideravano un’arte misteriosa e temibile: ed
egli invece dimostrò sperimentalmente che l’ipnosi era un procedimento che non
comportava pericoli.
In questo primo periodo l’ipnosi era ancora considerata una forma di sonno. Con
la diffusione della teoria pavloviana, il concetto di sonno era stato elevato a
quello di ‘inibizione corticale’. Ma Erickson non era affatto d’accordo. Le sue
proprie esperienze di vita lo portavano a considerare l’ipnosi come uno stato alterato
nel quale il soggetto provava un’attenzione intensa ma focalizzata su un ambito
più ristretto.
Alla fine del suo incarico a Worcester, Massachusetts, nel 1934, anche il primo
matrimonio di Erickson era finito. Aveva trentatré anni ed era padre di tre
bambini piccoli dei quali doveva prendersi cura, una posizione a quell’epoca
alquanto inusuale per uno psichiatra inusuale. Tuttavia, quando accettò la
nomina successiva al Wayne County General Hospital a Eloise, nel Michigan, egli
iniziò un nuovo capitolo di approfondita ricerca nella sua vita personale e
professionale.
Nel giro di un anno, poi, incontrò Elisabeth (Betty)
Moore, che sarebbe divenuta sua moglie, la sua collega di ricerca, la madre dei
suoi tre figli (e successivamente di altri cinque).
La nomina di Erickson a Eloise – dapprima come direttore della ricerca
psichiatrica (1934-39) e successivamente come direttore della ricerca e
formazione psichiatrica (1939-48) – offrì la sede per le sue principali
ricerche sperimentali sulla natura e la realtà dei fenomeni ipnotici. L’ambito
di questi studi andava dagli esperimenti di laboratorio, attentamente
controllati, sulla sordità ipnotica e la cecità ai colori (con l’aiuto di sua
moglie), sino alla ricerca sui complessi e le nevrosi significative per il
lavoro clinico, indotte per via ipnotica. La fantastica abilità di Erickson
nell’utilizzazione degli stimoli minimi e delle forme indirette di suggestione
lo portò alla pubblicazione di una serie di scritti sulla dimostrazione
sperimentale dei meccanismi mentali freudiani e sulla presenza dei processi
inconsci sia nella ‘psicopatologia della vita quotidiana’, sia nelle sindromi
psichiatriche gravi.
Benché molto del suo lavoro nel corso di questo
periodo fosse a sostegno della teoria psicoanalitica, Erickson non si considerò
mai un freudiano, né, del resto, un seguace, di nessuna scuola particolare. Ed
effettivamente egli deplorò spesso l’esistenza delle varie scuole di psicologia
e di psichiatria, perché secondo lui i loro seguaci dimostravano troppo spesso
un’immatura rigidità (o ‘limiti appresi’) non facevano che inibire una ampia
esplorazione libera, e per tutta la sua carriera egli stesso non volle legarsi
a nessuna teoria. Era un genio nel campo della percezione e della comunicazione
e provava un enorme piacere nello studio e nell’impiego terapeutico dei mezzi
datici dalla natura; e tuttavia su questi mezzi non sentiva alcun bisogno di
costruire impalcature teoriche d’alcun genere.
La maturità professionale
Il successivo passo importante nella carriera di
Erickson si ebbe quando accettò la carica di direttore dell’Arizona State
Hospital a Phoenix, in Arizona (1948-49). Questo trasferimento nel clima secco
e caldo dell’Arizona fu motivato in parte dai dolori che gli causava il freddo
clima del Michigan e in parte dalle molteplici allergie che lì lo avevano
tormentato.
Il sovraintendente all’ospedale dell’Arizona era John
A. Larson, un medico e ricercatore inusitatamente capace, uno studioso che
aveva compiuto molte delle prime ricerche sul poligrafo. I rapporti con
Erickson sul piano intellettuale erano eccellenti, e insieme essi intendevano
mettere in atto un programma all’avanguardia nella ricerca e nel trattamento.
Il primo anno la famiglia Erickson visse in un’ala annessa all’ospedale, ma a
quel punto Larson venne chiamato ad altri incarichi ed Erickson iniziò
un’attività privata impiantando casa e studio a Cypress Stret, al centro di
Phoenix.
Il passaggio all’attività professionale privata
malgrado i principali interessi di Erickson vertessero nel campo della ricerca,
fu dovuto ancora una volta a cause di salute. Benché il caldo secco e l’aria
pulita dell’Arizona fossero d’aiuto nel ridurre i crampi muscolari e le
allergie da cui era stato provato nei climi più freddi, Erickson era tutt’ora
soggetto a momenti di vertigine, disorientamento, grave debilitazione. La fonte
di questi problemi i medici l’attribuirono a “strascichi della poliomielite,
forse di poliencefalite”. Per quanto si potesse sentire bene, c’era sempre per
lui la possibilità di provare dolore e non essere in grado di muoversi.
Il fatto d’avere lo studio in casa gli avrebbe permesso di prendersi delle
pause tra un paziente e l’altro, durante le quali avrebbe potuto riprendere con
l’autoipnosi controllo sul dolore; ciò avrebbe mantenuto le spese professionali
al minimo, rendendogli contemporaneamente disponibile il costante sostegno e le
cure di sua moglie; infine gli avrebbe permesso di rimanere vicino ai suoi cani
e ai suoi bambini, con i quali aveva sempre un intenso rapporto di maestro, tutore,
buffone, narratore di aneddoti e storie sagge, nonché affettuoso compagno.
Adottare questo stile di vita meno faticoso si rivelò
effettivamente una scelta perspicace. Nel giro di pochi anni infatti, all’età
di cinquantuno anni, Erickson provò la rara tragedia di un secondo attacco di
poliomielite. A questo punto della sua vita il dolore divenne suo costante
compagno.
Ciò era dovuto in parte al graduale
e inevitabile deterioramento del tessuto muscolare che avviene per via della
poliomielite, e in parte agli effetti residui delle torsioni e delle pressioni
inusuali che aveva imparato a dare alla sua colonna vertebrale negli anni
passati nei suoi tentativi di mantenere una posizione del corpo più normale
possibile.
Per tutto il corso della sua vita Erickson mal
sopportò le affermazioni della parapsicologia, la fede religiosa nei miracoli,
o gli entusiasmi popolari riguardo a una presunta ‘energia psichica’. Per Erickson
l’ipnosi era un fenomeno naturale che utilizzava processi fisiologici ordinari
quali il ricordo, la dimenticanza, la dissociazione, la reinterpretazione
cognitiva dei sistemi di credenze. Di solito per aiutare il paziente a raggiungere quei
risultati apparentemente miracolosi era richiesta una gran mole di
addestramento, intelligenza e lavoro da parte del terapeuta.
Se al paziente e all’osservatore abituale questi sembrano miracolosi, è
solo perché non conoscono tutte le vicende e l’attenta programmazione
necessaria per ottenere gli effetti ipnotici.
E’ vero che a volte le circostanze socio-culturali
possono combinarsi spontaneamente in modo tale da far pensare a un miracolo che
si sia prodotto senza sforzo e per il tramite di qualche entità sovrannaturale
(si pensi ai santuari, alle riunioni di fedeli, all’effetto prodotto da
pittoreschi ciarlatani, ecc.), ma il comune terapeuta dovrebbe conoscere tutto
il possibile sulle scienze della psicologia, dello sviluppo umano del
linguaggio, della comunicazione e della cultura.
Ciascun paziente è un microcosmo
unico che deve essere compreso appieno se si vuol riuscire a sintetizzare un
adeguato approccio che utilizzi le sue potenzialità individuali. Anche se esistono certi principi
generali di trattamento de eseguire, qualsiasi intervento ipnoterapeutico è
necessariamente sperimentale. Con l’impegno, l’intuito e molta pratica, questi
approcci ipnoterapeutici possono divenire quasi una ‘seconda natura’ per il
terapeuta, cosicché alla fine si ottengono buoni risultati in modo
apparentemente privo di sforzo.
Gli anni della leadership
Il fatto di lavorare a casa significò per Erickson
ritirarsi in disparte. Al contrario, non appena sifu ripreso dal secondo
attacco di poliomielite si trovò tanta energia a disposizione da iniziare il
periodo più pieno e soddisfacente della sua carriera, come amico, terapeuta,
maestro e consulente – e alla fine come leader nazionale e mondiale nell’ipnosi
clinica. A questo punto Erickson incominciò a tenere lezioni e conferenze
dietro invito in vari college locali e in seminari rivolti a colleghi. Agli
inizi degli anni Cinquanta partecipò alle lezioni tenute a psicologi,
psichiatri e dentisti nei seminari di ipnosi di Los Angeles, insieme a Lesile
LeCron e altri. In quello stesso periodo conobbe Aldous Huxley, con il quale
trovò un’eccellente affinità sul piano intellettuale. La mente eccezionale di
Huxley, provò sotto la guida di Erickson alcuni affascinanti fenomeni ipnotici.
I due si ripromettevano di effettuare un lavoro congiunto sulla coscienza e gli
stati alterati, ma i loro manoscritti non ancora portati a termine andarono
purtroppo distrutti in un incendio che bruciò completamente la casa di Huxley.
Erickson impiegò però alcuni degli appunti presi nelle loro sedute ipnotiche
per scrivere successivamente uno dei suoi più geniali e coloriti racconti: “Una
indagine speciale condotta con Aldous Huxley sulla natura e il carattere dei
vari stati di coscienza”.
Sino al momneto in cui comparve sulla scena Erickson,
nel campo dell’ipnosi clinica c’era stato il vuoto. Non cerano, semplicemente,
molti professionisti che la impiegassero: sembrava che le vecchie, autoritarie
tecniche ipnotiche non si confacessero a una cultura democratica alla
spasmodica ricerca di se stessa.
In America, l’unica organizzazione professionale di
una qualche importanza era la Society of Experimental and Clinical Hypnosis,
composta soprattutto da accademici che si concentravano sulla ricerca, più che
sulla pratica. Fu in questo vuoto che comparve Erickson, il quale,con i suoi
approcci i diretti e permissivi che utilizzavano l’insight e i meccanismi mentali,
diede inizio a una grande rinascita dell’ipnosi nel mondo clinico, nelle sue
applicazioni nei campi della medicina, dell’odontoiatria e della psicologia.
Erickson si lanciò ora nel periodo più impegnato della
sua vita. Aveva una famiglia sempre crescente, composta di otto figli, una
schiera sempre più numeroso di cani di tutte le razze, e una fama sempre più
vasta come scrittore, consulente e insegnante. La gamma delle sue attività era
estremamente variegata: era consulente di gruppi disparati quali la squadra
americana di tiro al bersaglio, enti governativi che si interessavano allo
studio degli incidenti aerei, nonché atleti di primo piano che cercavano di
accrescere le loro potenzialità e risultati tramite l’ipnosi. Le sue conferenze
a gruppi di professionisti si estesero a tutto il paese, tanto che di solito
mancava da casa almeno una settimana al mese. Venne acclamato in svariati paesi
quando diede dimostrazioni di ipnosi di fronte a gruppi di professionisti, e
non potendo parlare la lingua del luogo inventò le spettacolari tecniche mimate
di induzione ipnotica. Il modo in cui le elaborò è descritto in “Tecniche
mimate nell’ipnosi e le loro implicazioni”.
Il saggio di Phoenix
L’umile studio-casa di Cypress Street costituiva
un’esperienza umana per tutti coloro che venivano a varcarne la soglia. Nel
soggiorno di famiglia che fungeva anche da sala d’aspetto i pazienti
s’imbattevano sempre in simpatici cani e bambini. C’era un cane bassotto di
nome “Roger” che si rilassava talmente, sdraiato in mezzo alla stanza, che i
pazienti spesso cadevano in fantsasticheria e stato di trance semplicemente
guardandolo. Erickson considerava che ciò gli facilitasse il lavoro.
Ed effettivamente non si trattava tanto di un rapporto
medico- paziente quanto piuttosto di un rapporto famigli-paziente. I bambini
avevano l’abitudine di fare dei disegni per i pazienti, e avvenivano scambi di
piccoli doni. La famiglia sapeva sempre quando un paziente migliorava o
peggiorava, e talvolta poteva anche avvenire che nel cortile retrostante la
casa venissero messi in atto metodi di trattamento estremi: in almeno
un’occasione Erickson mise sotto chiave gli stivali di un paziente alcolizzato,
in modo che non potesse fuggire dal cortile dove si stava disintossicando
mentre per pagarsi la pigione badava ai cani e al giardino!
Un altro paziente che dovette essere ospedalizzato
venne ‘adottato’ dalla famiglia: dopo che fu dimesso dall’ospedale gli
regalarono un cane, che venne tenuto a casa degli Erickson (dato che lui non
poteva tenerlo nel suo appartamento), e per anni egli venne a trovare ogni
giorno il cane e la famiglia – e a tutt’oggi continua le sue visite regolari.
Dato che studiando e compensando le proprie carenze Erickson aveva raggiunto un
modo di vedere il mondo davvero unico, era chiaro che il suo modo di concepire
i rapporti umani fosse diverso da quello dei suoi colleghi. Così, anche se
aveva molto in comune coi suoi colleghi, c’erano sempre, anche con coloro che
lo conoscevano meglio ,differenze di percezione e di comunicazione.
Pur avendo effettuato ricerche su concetti
psicanalitici fondamentali con un teorico freudiano, Lawrence Kubie, e pur
condividendo opinioni e progetti con altri eminenti pensatori quali Aldous
Huxley, Margaret Mead e Gregory Bateson, Erickson rimase sempre un
professionista sui generis, al centro dell’identità professionale del quale
rimanevano sempre le sue straordinarie capacità operative. Nessuno poteva
negare i brillanti e inusitati effetti che riusciva a ottenere in ipnosi, ma
pochi potevano capire o riprodurre il suo operato. Ciò ha portato a molta
confusione ed errori d’interpretazione circa il contributo di Erickson, e
rimane tutt’oggi un problema ancora aperto, anche tra coloro che vorrebbero seguirlo:
come può il professionista medio, con tutti i limiti appresi dalla nostra
cultura media, imparare a ottenere quei risultati molto efficaci ma sempre
unici che erano il prodotto di un’intelligenza così particolare come quella di
Milton H. Erickson?
A mio avviso anche questo breve profilo della vita di
Erickosn è importante per capire la fonte della sua genialità, spesso
trascurata da coloro che cercano di emulare i suoi brillanti risultati tecnici.
La tecnica di Erickson proveniva dalle ferite della sua carne; la sua
originalità come terapeuta aveva radici della sua lotta di vita o di morte per
far fronte alle sue carenze congenite e alla malattia che lo paralizzava. Io sono convinto che la vera fonte
della sua efficacia come terapeuta sia questa: i pazienti avvertivano a
svariati livelli che le capacità di Erickson come terapeuta derivavano da
autentiche esperienze e conoscenze personali. Era davvero il medico sofferente che
aveva imparato a guarire gli altri guarendo se stesso.
E ciò vale anche per tutti coloro tra noi che sentono
un’autentica vocazione per questa professione. Ognuno di noi, in un modo o in
un altro, ha qualche ferita. La nostra riuscita sempre parziale nel guarire le
nostre ferite ci porta alla vocazione di esplorare insieme agli altri ulteriori
modi di adattarci alla nostra comune condizione umana e di ampliarne le
possibilità.
I pazienti hanno ragione a risentirsi quando sentono
di subire una manipolazione per mezzo di ‘aride tecniche’, impiegate da un
operatore che non ha alcun rapporto personale o conoscenza della fonte dei
problemi e della malattia che sono in tutti noi.
Questi
operatori cercano d’impiegare la tecnica come mezzo di potere e prestigio per
controllare gli altri. Ma l’inconscio dei pazienti, naturalmente, avverte tutta
la superficialità di questa vuota messinscena, e nulla cambia davvero; non
fanno che manifestarsi delle ‘resistenze’. Anche se cambia un sintomo, non è
ancora avvenuto nessun profondo coinvolgimento con quelle fonti interne di
malattia e creatività, che è il vero scopo di tutto il lavoro terapeutico.
E’ proprio a questo fine che è dedicata questa breve
rassegna della vita di Erickson, e anche questi volumi sui suoi seminari,
gruppi di lavoro e conferenze: rispondere alla domanda su come ciascuno di noi
possa generare un più efficace rapporto con le fonti e i problemi del nostro
essere unici, e su come possiamo affinare queste capacità per aiutare gli altri
ad affrontare i dilemmi della nostra comune condizione umana.
E. Rossi, Guarire con l’ipnosi, vol. I, Astrolabio, 1985
La collaborazione tra E.L. Rossi e M.H. Erickson è stata
molto intensa durante gli 8 anni che precedono la morte di Erickson ('72-'80).
Dopo tale evento, il legame professionale e scientifico tra i due magnati
dell'ipnoterapia moderna è divenuto più intenso e lo è tutt'ora, a distanza di
27 anni. Il loro intimo dialogo continua.
Neuropsicofisiologo Italiano di San
Lorenzo Maggiore (BN) CV:LAUREA IN FARMACIA NEL 1954, UN MASTER IN PSICOLOGIA
NEL 1957, OTTENNE IL Ph.D. IN PSICOLOGIA NEL 1962 E DIVENTO' DIPLOMATE IN
PSICOLOGIA NEL 1968. DAL 1970 AD OGGI APPARTIENE ALL'ASSOCIAZIONE
INTERNAZIONALE DI PSICOLOGIA ANALITICA. NEL 1980 FU ELETTO DIRETTORE GENERALE
DELL'ISTITUTO DI JUNG A LOS ANGELES. DAL 1992 AL PRESENTE FA PARTE DELL'ASSOCIAZIONE
MATEMATICA AMERICANA. DAL 1995 E' PROFESSORE DI BIOLOGIA ALLA BAYLOR UNIVERSITY
NEL TEXAS.
L'affetto rispettoso di E.L. Rossi per Erickson è
evidenziato in tutte le sue opere ed in tutta la sua vita. Egli scrive a
riguardo di Erickson:
[...] Sino al momento in cui comparve sulla scena Erickson,
nel campo dell'ipnosi clinica c'era stato il vuoto. Non c'erano, semplicemente,
molti professionisti che la impiegassero: sembrava che le vecchie, autoritarie
tecniche ipnotiche non si confacessero a una cultura democratica alla
spasmodica ricerca di se stessa [...]
[...] La tecnica di Erickson proveniva dalle ferite della
sua carne; la sua originalità come terapeuta aveva radici della sua lotta di
vita o di morte per far fronte alle sue carenze congenite e alla malattia che
lo paralizzava. Io sono convinto che la vera fonte della sua efficacia come
terapeuta sia questa: i pazienti avvertivano a svariati livelli che le capacità
di Erickson come terapeuta derivavano da autentiche esperienze e conoscenze
personali. Era davvero il medico sofferente che aveva imparato a guarire gli
altri guarendo se stesso.
E ciò vale anche per tutti coloro tra noi che sentono
un'autentica vocazione per questa professione. Ognuno di noi, in un modo o in
un altro, ha qualche ferita. La nostra riuscita sempre parziale nel guarire le
nostre ferite ci porta alla vocazione di esplorare insieme agli altri ulteriori
modi di adattarci alla nostra comune condizione umana e di ampliarne le
possibilità [...]
Erickson ha influenzato il pensiero di Rossi anche dopo che
è diventato autonomo. In Rossi permane un affetto altamente rispettoso nei
riguardi del maestro.