venerdì 3 aprile 2015

PARLIAMO DI INTELLIGENZA EMOTIVA a cura di Mariacristina Guardenti



 
L’Intelligenza emotiva è uno dei concetti più popolari di questi ultimi anni , che apre un dibattito sul contenuto stesso della semantica: è un insieme di abilità cognitive o un insieme di competenze, disposizioni, abilità regolatrici di informazioni emozionali?

Cerchiamo qui di dare una definizione  generica di Intelligenza :

L’insieme delle funzioni psichiche di un individuo, che si traducono nella capacità di riconoscere, impostare e risolvere in modo adeguato i problemi posti dalla vita, utilizzando in modo corretto ed efficace tutte le abilità  

E l'Intelligenza Emotiva? 

E' la capacità che di percepire, identificare e riconoscere i sentimenti (EMOZIONI) propri ed altrui in maniera precisa nel momento stesso in cui sorgono; inoltre è la modalità funzionale di rendere fruibili queste INFORMAZIONI: emozioni e sentimenti  per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni. -Goleman 1995-

È quindi una delle capacità all' auto-motivazione e viene impiegata per gestire le emozioni personali in modo costruttivo.

Per inciso …  Un Counselor non dimenticherà di sottolineare quanto sia fondamentale che …

Per poter conoscere a fondo i sentimenti degli altri  ( e quindi esercitare la professione del Counselor) è necessario innanzitutto conoscere i "propri sentimenti".

L’abilità a comprendere le emozioni degli altri si sviluppa in parallelo con la consapevolezza delle proprie emozioni, con la propria abilità ad empatizzare con gli altri, e con l’abilità a concettualizzare le cause delle emozioni e le loro conseguenze comportamentali. Inoltre, più si apprende sulla maniera e sulle ragioni del comportamento degli altri, più possiamo dedurre che cosa provano da un punto di vista emotivo. I bambini piccoli iniziano a scrutare i volti degli altri (principalmente i caregiver) per dare un significato a stimoli che per loro sono ambigui (social referencing). Nello specifico, affinché ciò sia possibile, i bambini 1) devono essere in grado di decodificare il significato usuale delle espressioni emotive facciali, 2) devono comprendere quali sono le situazioni che di solito producono emozioni, 3) devono realizzare che gli altri hanno una mente, delle intenzioni, delle credenze, e in generale degli stati interni, 4) devono computare un’informazione unica sull’altra persona che dovrebbe rendere comprensibile una risposta emotiva non stereotipata o una risposta che è diversa da quella che lui stesso avrebbe prodotto nella stessa situazione, 5) devono essere in grado di etichettare l’esperienza emotiva in modo da poter comunicare verbalmente con gli altri rispetto alle proprie emozioni e sentimenti (quest’ultima fa parte della prossima abilità della competenza emotiva). A partire dai 7-8 anni di età, i bambini iniziano a mostrare questi aspetti della propria competenza emotiva nelle relazioni sociali e familiari.

Le conversazioni sociali sono il principale veicolo attraverso cui i bambini imparano non solo il linguaggio descrittivo delle emozioni, la cui acquisizione continua nella fanciullezza e in adolescenza, ma anche come usare questo linguaggio negli scambi con gli altri per raggiungere obiettivi sociali ed emozionali. Per quanto riguarda gli script emotivi, questi vengono integrati nel corso dello sviluppo con il sistema di credenze della società in cui il bambino vive; inoltre, i comportamenti espressi in reazione ad una emozione saranno congruenti anche alla rappresentazione del sé del bambino, e del suo ruolo sociale che sarà indubbiamente collegato anche al genere.

Tra i diversi modelli teorici e sul piano concettuale si riflettono i differenti approcci di cui sommariamente andremo a dare spiegazione, inerenti l’Intelligenza Emozionale che è suscettibile di variabili inerenti non solo in relazione all’età, all’esperienza o al contesto, ma sottostante l’influsso diretto o no di chi osserva , studia e tenta di dimostrare l’efficacia di una misurazione della stessa.

La teoria triarchia dell’intelligenza . Anche Sternberg (1988, 1997, 1999), psicologo della Yale University, ha inteso l’intelligenza non come un’abilità singola, ma come un’entità articolata e composita, costituita da parti diverse:

• l’intelligenza analitica (astratta), che concerne l’analisi, la valutazione e il confronto di informazioni;

• l’intelligenza pratica, che si riferisce alla capacità di esercitare materialmente acquisizioni apprese ed elaborate;

• l’intelligenza creativa, che risiede nella possibilità di trovare soluzioni originali, produrre innovazioni, scoperte, avere insight.

Il punto di equilibrio fra abilità analitiche, pratiche e creative, consentirebbe di agire efficacemente in un determinato contesto socioculturale.

La teoria di Sternberg (1985) include un ulteriore articolazione in tre sottocategorie: 1) quella componenziale che prende in considerazione l’ambiente interno dell’individuo; 2) quella contestuale che fa riferimento all’ambiente esterno dell’individuo e che comprende l’intelligenza sociale; 3) e la componente esperienziale, che si rivolge sia all’ambiente interno che a quello esterno dell’individuo.

I contributi di Sternberg e di Gardner, che rappresentano teorie dell’intelligenza tra loro integrabili, hanno avuto ricadute applicative importanti in ambito scolastico; mentre la teoria della triarchia invita ad utilizzare i livelli di conoscenza di base degli studenti per sviluppare modalità creative, analitiche e pratiche, il lavoro di Gardner ha condotto ad una revisione e ad un ampliamento dei curriculum scolastici nel senso di una maggiore flessibilità, attribuendo importanza e dignità didattica ad ambiti tradizionalmente meno incisivi, quali ad esempio la musica e la psicomotricità. Ilavori di entrambi questi autori, inoltre, hanno preparato la strada per i contributi degli attuali teorici dell’intelligenza emotiva,

Questa ‘Intelligenza emotiva’ si connette direttamente con l’Intelligenza Intrapersonale descritta da “Howard Gardner”, poiché presuppone la consapevolezza dei propri stati d’animo e della loro portata; la valutazione assennata delle proprie risorse fisiche e psichiche di fronte all’evenienza (anche emozionale) che ci si presenta.

Vediamo come H. Gardner propone le Intelligenze Multiple

VERBALE: la parola che esplora

LOGICO-MATEMATICA: il numero che ordina

SPAZIO-TEMPORALE: prossemica e cronemica (percezione, organizzazione e manifestazione del tempo)

MUSICALE: il ritmo, l’armonia

CORPOREA: postura, movimento, manipolazione

INTRAPERSONALE: la gestione e il controllo del Sé

INTERPERSONALE: l’interazione con gli Altri

NATURALISTICA: è vero ciò che “vedo/tocco”

ESISTENZIALE: è vero ciò che mi serve

Se H. Gardner parla di Intelligenze Multiple, Goleman (1998) identifica 5 classi principali di competenze necessarie per una performance efficace a livello emotivo, con particolare riferimento all'ambito del lavoro e delle organizzazioni:


1      consapevolezza delle emozioni, sia nel Sé che negli altri, al fine di riuscire a gestire le varie situazioni, consiste nell’essere consapevole dei propri stati interni; è la capacità introspettiva, caratterizzata dall’auto-osservazione anche durante le emozioni intense. 

        

2      regolazione delle emozioni nel Sé, autocontrollo: la capacità di ignorare emozioni spiacevoli e sollecitare quelle piacevoli, riducendo così gli effetti negativi che alcune emozioni possono avere sulla performance. Resistere alle tempeste emotive è uno strumento efficace che permette di controllare lo stato emotivo personale e può salvare da comportamenti impetuosi, soprattutto per sentimenti quali la rabbia e la tristezza.

 

3      tendenze motivazionali: permettono di indirizzare le emozioni verso il raggiungimento degli obiettivi; Un’abilità critica è la capacità di contenere le emozioni e ritardare gli impulsi per posticipare la gratificazione. La capacità di auto-motivarsi è importante soprattutto nello studio e nel lavoro.

 

4      empatia: la capacità dell'individuo di percepire e provare le emozioni degli altri ( mettersi nei panni dell’Altro) al fine di sostenerne la performance; L’empatia richiede la capacità di comprendere come gli altri percepiscano una situazione. Esistono due tipi di empatia: quella cognitiva associata alla capacità di assumere il punto di vista dell’altra persona per capirne ragionamenti (per es. durante una discussione), e quella emotiva, associata alla capacità di riconoscere e comprendere, spesso a livello intuitivo, le emozioni altrui cogliendo sottili messaggi non-verbali.

 

5      abilità sociali: la capacità di relazionarsi con gli altri per ottenere obiettivi comuni coerenti ai propri valori. Esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni è una competenza sociale. Le emozioni sono contagiose, noi mandiamo segnali emotivi in ogni incontro-relazione e inconsciamente rispecchiamo il comportamento dell’altro. Maggiore sarà la sincronia tra il nostro comportamento non verbale e quello del nostro interlocutore, migliore sarà l’umore condiviso. Sintonizzandoci sulla percezione emotiva dell’altro controllando i segnali personali emessi, maggiore sarà la circolarità della comunicazione. Essere in grado di gestire le emozioni nelle relazioni ed essere capaci di ispirare gli altri sono caratteristiche fondamentali nel team di lavoro e nella leadership.

Sottolineiamo  3 sotto competenze:

L'auto-conoscenza come consapevolezza delle nostre emozioni.

L'auto-regolazione, come  capacità di gestire efficacemente le proprie emozioni.

L'auto-motivazione, come  l’abilità di rimanere motivati nonostante le inevitabili difficoltà, crisi e frustrazioni che comporta il raggiungimento di un obiettivo importante per noi o la nostra esperienza di vita in generale.

Critiche alla teoria di Goleman

Il lavoro di Goleman è stato a più riprese criticato dalla comunità scientifica di area psicologica, in quanto carente di solide basi oggettive. Eysenck (2000), ad esempio, commenta che le affermazioni di Goleman, più di altre, esemplificano chiaramente l’assurda tendenza a classificare quasi ogni tipo di comportamento come una intelligenza. Inoltre, se le abilità da lui elencate definissero realmente l’EI, ci si aspetterebbe una prova di una loro stretta correlazione; non solo tale prova non viene fornita, ma lo stesso Goleman ipotizza che tali abilità potrebbero anche non essere correlate affatto. Molti studi accademici hanno sollevato dubbi sul lavoro di Goleman, che avrebbe avanzato ipotesi non supportate da sufficienti evidenze scientifiche sull’influenza dell’EI nel predire effettivamente le capacità legate alla leadership e alla vita lavorativa in generale (Antonakis, 2003 e 2004).

 

 

Esprimere le proprie emozioni: modalità non funzionali

Una madre che insegna al bambino a non mostrare la sua delusione per un regalo non gradito della nonna, ma a sorridere e ringraziare. In questo caso sta insegnando a suo figlio la sostituzione di un sentimento con un altro. Ma il modo in cui gli insegna questa norma di espressione, influirà sulla maniera in cui il bambino imparerà e metterà in pratica la regola.

                Altra norma è quella di minimizzare l'espressione dell'emozione: per esempio quando si rimprovera il bambino di fronte ad altre persone e quest'ultimo comincia a piangere in modo irrefrenabile, gli chiediamo di calmarsi e di non piangere.

                L' esagerazione consiste invece nell' amplificare l'emozione che si sta sentendo, come per esempio quando i genitori invitano un bambino timido a sorridere di più per apparire più socievole e amichevole nei confronti degli altri.

 Estremizzando. Le persone possono gestire e canalizzare le proprie emozioni (fino all’estremo, soffocante controllo), oppure lasciarsi andare emotivamente alle emozioni (fino all’estremo dominio di queste ultime sui vari aspetti esistenziali).

Le due menti  “A tutti gli effetti abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere. Ma accanto ad essa c’è un altro sistema di conoscenza – impulsivo e potente, anche se a volte illogica, c’è la mente emozionale” (Goleman 1996:).

Come l’Intelligenza Emotiva fa parte delle Intelligenze Multiple e come ci vengono spiegate da Gardner

Abbiamo accennato prima a Howard Gardner, psicologo americano nato nel 1943, e la sua  teoria delle intelligenze multiple. Questa teoria ripresa poi anche da altri, ma non condivisa da tutti, è basata sulla convinzione che gli esseri umani sono dotati di più forme di intelligenza interconnesse tra loro e che determinano le facoltà dell’individuo su base neurologica, staccandosi di fatto dalla teoria classica basata sulla presenza di un fattore unitario misurabile tramite il QI.

•       Per cui esiste l’intelligenza logico-matematica, che consiste nell’abilità di valutazione e di confronto di oggetti concreti o astratti e nell’individuare relazioni e principi.

•       L’intelligenza linguistica, che si esprime nell’uso del linguaggio e delle parole e nella capacità di adattare le parole al contesto e alla comunicazione della propria idea.

•       L’intelligenza naturalistica, che permette il riconoscimento di oggetti naturali e che è collegata alla capacità classificatoria e tassonomica.

•       L’intelligenza musicale, che si rivela nella composizione e nell’analisi di brani musicali e nella capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni, timbri e ritmi.  Metafora spesso usata anche in riferimento al business quando si parla di un manager come direttore di orchestra (essere capace di coordinare gli strumenti pur non essendo eccellente nel suonarne uno)

•       L’intelligenza visivo-spaziale, capacità di orientarsi e di rappresentare oggetti visivi in termini di relazioni funzionali – per esempio un organigramma – percependo idealmente le relazioni pur non avendoli a disposizione.

•       L’intelligenza cinestetica, che è la capacità manuale oltre che quella di dare istruzioni al proprio corpo per un funzionamento ideale. E’ l’intelligenza degli atleti ma anche degli artigiani, dei chirurghi e dei dentisti.

•       L’intelligenza esistenziale, che è la capacità di riflettere sulle questioni universali  dell’esistenza.

•       Le ultime due intelligenze sono a)l’intelligenza interpersonale e b) l’intelligenza intrapersonale. a)La prima è la capacità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d’animo degli altri e l’altra, b) è la capacità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in forme socialmente accettabili.

                Queste due ultime intelligenze rappresentano l’INTELLIGENZA EMOTIVA e nel porci la domanda qual è la differenza tra intelligenza e capacità e quella se si nasce con l’intelligenza o si sviluppa, il professor Bianchi ci chiarisce che esistono delle competenze, cioè comportamenti responsabili, che determinano una prestazione eticamente e tecnicamente corretta di prestazione professionale e che declinano le due intelligenze.

•       Quindi l’Intelligenza Intrapersonale si sviluppa attraverso l’autoconsapevolezza,  l’assertività, l’autostima, l’autorealizzazione e l’indipendenza.

•       L’Intelligenza Interpersonale è esplicabile attraverso i concetti di relazioni interpersonali, empatia, responsabilità sociali.

A proposito di  … Empatia

in particolare l’empatia, cioè la capacità di entrare in una relazione di comprensione profonda di cosa prova e sente l’altro, è un fenomeno essenziale delle relazioni umane e rappresenta nella dimensione umana, la capacità di comprendere l’altro, valorizzare l’altro, fare leva sulla diversità e utilizzare la capacità politico-sociale definendo di fatto la linea di demarcazione tra una cattiva e una buona comunicazione. La parola ‘empatia’ deriva dal greco empatheia, a sua volta derivato dall'unione della preposizione en ed il sostantivo pathos, ed esprime il concetto di compartecipazione, di sintonia tra due o più individui, tramite l'instaurarsi di un sentimento di affetto. L’empatia è una dimensione che ricorre in molte concettualizzazioni dell’EI e, in maniera più evidente, nei modelli misti di Bar-On e Goleman, dove viene intesa come capacità di percepire e riconoscere le emozioni delle altre persone, ma anche di immedesimarsi nei loro stati emotivi e rispettarli, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti. Appare chiara l’importanza di questa dimensione nel contesto delle relazioni sociali in quanto rende capace l’individuo di stabilire una sintonia emotiva con le persone che lo circondano e ciò lo mette nelle condizioni di stabilire relazioni interpersonali autentiche e appaganti basate su una reale esperienza di condivisione e di mettere in atto comportamenti pro sociali tesi ad una cooperazione fondamentale per l’inserimento sociale. Una carenza in questa dimensione può comportare conseguenze variabili da difficoltà interpersonali legate alla scarsa considerazione dei sentimenti altrui e ad un fraintendimento delle intenzioni degli altri, a disturbi come quelli della condotta caratterizzati da aggressività verso gli altri (come nel bullismo) o come il disturbo narcisistico della personalità, in cui gli individui sono completamente assorbiti da se stessi e non considerano i sentimenti di chi li circonda.

Sulla “Comunicazione” considerazioni conclusive

La comunicazione emotiva è considerata il cuore di ogni relazione e, circolarmente, ogni relazione esiste in quanto c'è comunicazione emotiva . Attraverso la consapevolezza della comunicazione emotiva nelle relazioni la persona è in grado di riconoscere e usare le espressioni e le esperienze emotive per differenziare le sue relazioni con gli altri, in quanto è obbligato a considerare le conseguenze interpersonali derivanti dalla sua comunicazione emotiva all’interno della relazione. Questo è indice di auto-efficacia emotiva, in quanto la persona diventa capace di perseguire i propri obiettivi nell’ambito di relazioni vis-à-vis con un’altra persona.

Per cui un linguaggio o un comportamento orientato verso la puntualizzazione (tipico del linguaggio scientifico), la recriminazione (trasformare in crimine), la predica (imporre dall’alto) e il biasimo (te l’avevo detto io) possono portare probabilmente a posizioni di conflitto reciproco, mentre le regole di una buona comunicazione si fondano –  oltre alla capacità di governare ed esprimere le emozioni, di essere consapevoli delle diversità che inducono i contrasti tra le persone e della necessità di praticare la pazienza –   sulla pratica del CHIEDERE DOMANDANDO invece che  AFFERMARE: la domanda può comunicare la stessa cosa dell’affermazione, ma lascia la possibilità all’altro di esprimersi; INDAGARE prima di SENTENZIARE: anche qui ritorna il concetto di chiedere prima e di comprendere il contesto; EVOCARE anziché SPIEGARE: usare metafore che parlano alle emozioni, al cuore si direbbe, e non al razionale cioè alla mente.

 

Sunto Intelligenze Multiple di H. Gardner a cura di Mariacristina Guardenti



Se volete essere creativi, rimanete in parte bambini,

con la creatività e la fantasia che contraddistingue i bambini,

prima che siano deformati dalla società degli adulti.

(Jean Piaget)

La teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner

Il punto di partenza della concezione di Gardner è la convinzione che la teoria classica dell’intelligenza basata sul presupposto che esista un fattore unitario, misurabile tramite il QI sia errata. Dopo aver effettuato indagini sull'intelligenza dei bambini e su adulti colpiti  da ictus, egli giunse alla conclusione che gli esseri umani non sono dotati di un determinato grado di intelligenza generale, che si esprime in certe forme piuttosto che in altre, quanto piuttosto che esiste un numero variabile di facoltà relativamente indipendenti tra loro. Gardner arriva a identificare almeno NOVE differenti tipologie di intelligenza:

 1. Intelligenza logico-matematica, abilità espressa nel confronto e nella valutazione di oggetti concreti o astratti, nell'individuare relazioni e principi. 2. Intelligenza linguistica, abilità che si esprime nell'uso del linguaggio e delle parole, nella padronanza dei termini linguistici e nella capacità di adattarli alla natura del compito. 3. Intelligenza spaziale, abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi, manipolandoli idealmente, anche in loro assenza. 4. Intelligenza musicale, abilità che si rivela nella composizione e nell'analisi di brani musicali, nonché nella capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni, timbri e ritmi. 5. Intelligenza cinestetica, abilità che si rivela nel controllo e nel coordinamento dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti per fini funzionali o espressivi. 6. Intelligenza interpersonale, abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d'animo degli altri. 7. Intelligenza intrapersonale, abilità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle informe socialmente accettabili.8. Intelligenza naturalistica, relativa al riconoscimento e alla classificazione di oggetti naturali. 9. Intelligenza esistenziale, capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l'esistenza e più in generale nell'attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali. La teoria delle intelligenze multiple comporta che i diversi tipi di intelligenza siano presenti in tutti gli esseri umani e che la differenza tra le relative caratteristiche intellettive e prestazioni vada ricercata unicamente nelle rispettive combinazioni. Queste intelligenze funzionano in genere in modo armonico, ma sono relativamente autonome.

 

 


Pensare e Sentire a cura di Mariacristina Guardenti



PENSARE E SENTIRE: LA SINTESI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA


      Tutti sappiamo che abbiamo due menti, una che pensa l’altra che sente. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La loro sintesi ha una particolare importanza in diversi ambiti: nella relazione di aiuto, nell’impegno educativo e didattico, nel lavoro sociale e psicologico, nell’organizzazione del lavoro, perché il soggetto che si vuole coinvolgere è fatto di pensiero e di sentimento, di intelligenza e di affettività, e va sollecitato in maniera globale ed integrata in relazione  a qualsiasi obiettivo di crescita, che si intende raggiungere.

    La dicotomia emozionale - razionale è simile alla popolare distinzione fra cuore e mente. Quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore, la nostra convinzione è di ordine diverso: in qualche modo è una certezza più profonda di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il processo educativo non può essere un fatto intellettualistico, né all’opposto un fatto istintivo ed immediatistico; deve essere al contrario un processo capace di evitare queste due polarità, facendo interagire nel soggetto che educa così come nel soggetto da educare l’interazione tra intelligenza ed emotività.

 

  Se noi consideriamo l’importanza che hanno avuto le emozioni da un punto di vista della storia dell’umanità, ci rendiamo conto che esse hanno assunto un ruolo fondamentale: la nostra specie non sarebbe sopravvissuta se di fronte a situazioni di pericolo si fosse fermata a pensare. Pertanto l’emozione è immediata: basti pensare alla paura. Per capire come mai il sentimento e la ragione entrino in conflitto tanto facilmente, bisogna pensare al modo in cui si è evoluto il cervello umano. Molto prima che esistesse la mente razionale esisteva quella emozionale. Il modello scientifico della mente emozionale, emerso in anni recenti, spiega come le nostre azioni siano in gran parte determinate dalle emozioni e in che senso le emozioni hanno la loro logica e le loro ragioni.

 

 

CHE COS’E’ E A CHE COSA SERVE L’INTELLIGENZA EMOTIVA

 

Nella realtà attuale delle agenzie educative sia del pubblico che del privato sociale la dimensione cognitiva ed emotiva dell’adulto e del soggetto in età evolutiva tendono ad essere messe in contrapposizione fra loro, e non vengono fatte dialogare.  I sentimenti dell’educatore e del suo interlocutore continuano  ad essere considerati elementi  poco importanti,  materia di scarto da accantonare o da negare, aspetti non utili e non inerenti al processo educativo.  Spesso i dati emotivi vengono addirittura non riconosciuti e rimossi.

Occorre invece impegnarsi a tutti i livelli nel prospettare e nel favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva sia degli adulti che dei soggetti in età evolutiva.

     Per intelligenza emotiva, come s’è visto,  intendiamo la capacità di armonizzare il pensiero e i sentimenti,  la parola con i vissuti emotivi, la dimensione mentale con la dimensione affettiva.  In particolare l’intelligenza emotiva prevede le seguenti competenze:

·      la capacità dell’adulto e del bambino di riconoscere, rispettare e mettere in parola il mondo soggettivo dei sentimenti e delle emozioni;

·      la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza entrare in conflitto frontale con essi e senza neppure, tuttavia,  farsene travolgere;

·      la capacità di sviluppare  l’efficienza  mentale e la comprensione della realtà e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività) al raggiungimento di obiettivi e finalità;

·      la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici;

·      la capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri.

La confidenza da parte dei soggetti in età evolutiva con la propria vita emotiva favorisce la possibilità di raggiungere gli obiettivi nell’intervento didattitico o socio-educativo, di elaborare i conflitti all’interno del gruppo dei pari e di sviluppare la comprensione reciproca e la solidarietà.

Un’applicazione importante delle competenze relative all’intelligenza emotiva consente all’insegnante o all’educatore o all’animatore – a seconda dei contesti e dei compiti da realizzare - di  avvicinare al dialogo e all’elaborazione  riflessiva le problematiche dell’aggressività e della rivalità all’interno dei gruppi,  sia quelle   della sessualità e della affettività - che spesso compaiono in maniera spontanea e talvolta in forme confuse e provocatorie fra i ragazzi.    La confidenza con le emozioni, anche quelle negative, spiacevoli e conflittuali facilita inoltre l’elaborazione nei bambini e negli adolescenti degli impulsi che spingono alla devianza, permette di controllare la trasformazione del disagio in desiderio di stordimento e di fuga, desiderio sotteso all’uso di sostanze o ad altri passaggi all’atto tendenzialmente distruttivi o autodistruttivi.

 

Il possesso di competenze cognitive da un lato e di competenze emotive e relazionali dall’altro dovrebbe caratterizzare ogni attività professionale che implica un rapporto con le persone e con i bambini. Certamente questa sintesi non dovrebbe risultare estranea a qualsiasi forma di impegno professionale o volontario in qualsiasi istituzione sociale, sanitaria, scolastica, educativa, giudiziaria a contatto con soggetti in età evolutiva. 

 

Le competenze culturali riguardano la chiarezza degli obiettivi educativi, la conoscenza dei metodi, la comprensione di ciò che è pedagogicamente efficace  e deontologicamente corretto,  la coerenza  dei valori e dei progetti,  il padroneggiamento cognitivo delle tecniche e delle risorse che si possono utilizzare.

 Le competenze emotive e relazionali riguardano la capacità d’ìdentificazione con il disagio degli utenti,  la comprensione delle risorse e delle potenzialità di questi ultimi,  la capacità di ascolto e di sostegno,  la disponibilità e la vicinanza  emotiva  nei confronti dei problemi e delle difficoltà concrete e quotidiane dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie, la capacità di pensare in positivo e di sollecitare la creatività degli interlocutori.  

     La tematizzazione delle competenze emotive e relazionali come distinte dalle competenze cognitive rinvia alla teoria dell’intelligenza emotiva di Daniel Goleman. Cosa afferma questa teoria? In sintesi afferma che lo sviluppo di della capacità di riconoscere e di gestire i sentimenti propri ed altrui può migliorare il benessere degli individui e  la loro possibilità di motivarsi e di realizzarsi,  di comunicare  e di interagire tra loro. L’intelligenza emotiva può inoltre ottimizzare nelle organizzazioni i processi di apprendimento, di acquisizione e di scambio delle informazioni, di elaborazione delle decisioni.

 

 

 

 
 LE DIVERSE FORME D’INTELLIGENZA E LA CAPACITA’ DI STIMOLARLE

 

 

    La visione scientifica è stata per decenni molto sbilanciata, perché ha concentrato tutte le attenzioni sulla mente razionale. Solo in questi ultimi anni le ricerche stanno gradualmente cambiando, si sta superando l’atteggiamento di considerare la vita mentale emotivamente piatta, scarsamente rilevante e poco significativa.

    Si è cominciato a riconoscere il ruolo essenziale del sentimento nel pensiero, il potere delle emozioni nella vita mentale, come nondimeno a riconoscere i vantaggi che esse comportano. Oggi la pedagogia e la psicologia concordano nel sottolineare che non esiste un unico tipo monolitico di intelligenza: già Gardner nel 1983 aveva individuato sette varietà fondamentali d’intelligenza: oltre a quella verbale e logico - matematica, i due tipi standard su cui la scuola e le istituzioni educative hanno tradizionalmente puntato, Gardner individuava un’intelligenza spaziale (quella che si può esprimere in un artista), un’intelligenza cenestesica che si può esprimere nella danza o nella fluidità dei movimenti; un’intelligenza musicale;  individuava inoltre l’intelligenza interpersonale, ossia la capacità di comprendere lo stato d’animo degli altri e le loro motivazioni e di interagire positivamente con gli altri. E’ stata infine  concettualizzata un altro tipo di intelligenza individuale, quella intrapersonale, che è la chiave per accedere alla conoscenza di sé e ai propri sentimenti, quindi non solo capire lo stato d’animo dell’altro, ma conoscere quello che soggettivamente viene sperimentato (“ciò che io provo”).

 

    Da questa evoluzione del concetto d’intelligenza, si è giunti nell’ultimo periodo a parlare di intelligenza emotiva: sentimento e mente vengono unite insieme.

    La convinzione teorica che possano esistere una vasta gamma di varietà d’intelligenza, abbinata alla conoscenza pratica degli strumenti per riconoscere le diverse forme e per farle evolvere, porta a valorizzare le potenzialità difformi ed originali dei processi espressivi e maturativi in tutti gli interlocutori del processo educativo.  Anche i minori che rischiano di essere stigmatizzati e svalutati a partire da un concezione monolitica e standardizzata di intelligenza e di finalità educativa, possono essere sollecitati in modo vivo e creativo a scoprire e a far emergere l’intelligenza specifica di cui sono portatori e l’intelligenza emotiva che esiste comunque dentro di loro, cioè la capacità potenziale di armonizzare il pensiero e con la vita affettiva ed emotiva.

 

 
I PRINCIPI E LE FUNZIONI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA

 

    E’ massicciamente diffuso nella cultura sociale un pregiudizio negativo nei confronti della vita emotiva, vista  esclusivamente come un fattore di disturbo e di interferenza negativa nei confronti dei processi valutativi e decisionali.  La cultura dell’intelligenza emotiva afferma invece che emozioni e sentimenti sono anche e soprattutto una risorsa.

   Come è possibile incanalare l’emozione verso un fine concreto e produttivo? Goleman ci aiuta a dare una risposta al quesito individuando cinque funzioni che compongono l’intelligenza emotiva:

Conoscenza delle proprie emozioni: ovvero l’autoconsapevolezza - la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta -. Parafrasando lo psicologo John Mayer, essere consapevoli di sé significa essere “consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di esso”.  L’autoconsapevolezza è fondamentale non solo per la comprensione psicologica, ma anche per la crescita educativa: l’educatore di comunità o di territorio, l’operatore impegnato nell’intervento socioeducativo, l’animatore del centro di aggregazione giovanile  possono trarre grande vantaggio nella loro attività dallo sviluppo della capacità di riconoscere e di mettere in parola i sentimenti indotti dalla relazione educativa al fine di poter trasmettere un’analoga capacità ai destinatari dell’intervento.

 

Controllo delle emozioni: ovvero la capacità di controllarle per far sì che esse siano appropriate. Alcuni pensatori antichi la chiamarono temperantia: è l’equilibrio, non la soppressione delle emozioni. Ogni sentimento ha un suo significato. L’arte di tranquillizzare e confortare se stessi, è una capacità fondamentale nella vita. Winnicott la considerava uno degli strumenti psichici più essenziali. Solo un educatore capace di sperimentare un controllo sano delle emozioni potrà sollecitare una competenza analoga nello sviluppo del soggetto in età evolutivo.

 

Motivazioni di se stessi: ovvero il motore interno che ci spinge a mettere in atto tutta una serie di comportamenti che consentono il raggiungimento dello scopo. Abbiamo visto che riconoscere e controllare le emozioni sono abilità fondamentali per incanalare le stesse verso un fine produttivo. In ogni istituzione sociale, scolastica ed educativa è di fondamentale importanza attivare le energie e le motivazioni dei soggetti in età evolutiva e l’intelligenza emotiva è l’atteggiamento più produttivo in questa direzione.

Riconoscimento delle emozioni altrui: ovvero l’empatia, la capacità di sentire dentro, di avvertire lo stato emotivo dell’altro. Si tratta di ascoltare i vissuti emotivi dell’altro (che non sono i nostri), di rispecchiarli, di comprenderli mentalmente e se necessario, di metterli in parola.    Sentirsi ascoltati da un punto di vista emotivo dalla persona che abbiamo accanto ci aiuta molto. E’ fondamentale per un bambino sapere che le sue emozioni incontrano l’empatia dell’altro, che sono accettate e ricambiate in un processo che Daniel Stern chiama “sintonizzazione”. Attraverso la sintonizzazione, il bambino dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la percezione che gli altri possono e vogliono condividere i suoi sentimenti. La prolungata assenza di sintonia tra genitori e figli, presumibilmente porta il bambino ad evitare di provare ed esprimere le proprie emozioni.

Gestione delle relazioni: ovvero la capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri. Si tratta di  un’abilità molto importante che aumenta la competenza sociale e professionale, dal momento che ogni significativa relazione sociale ed educativa presenta quotidianamente conflitti e problemi. Nell’attività scolastica, nel lavoro sociale e  nell’intervento educativo affrontare i conflitti che coinvolgono nei modi più vari i bambini e gli adolescenti  è incombenza quotidiana ed ineludibile e l’intelligenza emotiva può aiutare l’insegnante, l’educatore e l’operatore nel gestire questo compito.

 

D. Goleman, L’intelligenza emotiva, Rizzoli, 1996.

 

Intelligenza Emotiva di Goleman a cura di Mariacristina Guardenti


 INTELLIGENZA EMOTIVA DI GOLEMAN

È il 1990  quando Salovey e Mayer scrivono un famoso articolo in cui espongono la prima definizione ufficiale di intelligenza emotiva, descrivendola come “l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle tra di loro e di usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni” (Lo Presti, Quadernucci, 2004). Successivamente, per meglio spiegare la loro idea di intelligenza emotiva, la divisero in quattro livelli di abilità fondamentali:

 1) percepire ed esprimere le emozioni;

 2) usare le emozioni per facilitare il pensiero;

 3) capire le emozioni;

 4) gestire le emozioni.

 È il 1996  quando Goleman adatta il loro modello definendo l’intelligenza emotiva come “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”. Goleman nella sua opera evidenzia come il QI, riferito alle tradizionali capacità logico-matematiche, verbali e spaziali, mostra i suoi limiti quando viene utilizzato come indice per prevedere il successo di un individuo. Goleman spiega quindi la nozione di intelligenza emotiva, già descritta da Gardner nelle due forme intrapersonale e interpersonale, distinguendo tra le competenze personali e le competenze sociali. Le prime si riferiscono, in generale, alla capacità di cogliere i diversi aspetti della vita emozionale, mentre le seconde, si riferiscono al modo con cui si comprendono gli altri e ci si rapporta ad essi.

Per Goleman l’intelligenza emotiva è l’insieme di cinque abilità:

Conoscenza delle proprie emozioni

Riguarda la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, l’autoconsapevolezza, intesa come una continua attenzione riflessiva verso la propria esperienza. Il monitoraggio dei sentimenti è fondamentale per la comprensione globale di se stessi, ed è importante per gestire al meglio le varie situazioni della vita.

 I cinque sensi – tatto, olfatto, gusto, udito, vista – raccolgono una quantità di dati ogni secondo, ma solo una minima parte di queste informazioni viene elaborata consapevolmente.

 Come evidenziò Freud (1915) gran parte della vita emotiva è inconscia e i sentimenti che ci investono non sempre raggiungono l’autoconsapevolezza. Di conseguenza, in molti casi le reazioni emotive sono dovute al fatto di aver prestato attenzione solo ad alcuni dati, trascurandone altri molto rilevanti. La capacità di allargare il focus della propria attenzione può essere sviluppata ed esercitata. Per raggiungere la strada dell’autoconsapevolezza è necessario ampliare il più possibile l’insieme delle informazioni che si è in grado di analizzare.

 L’osservazione di sé permette una consapevolezza equilibrata di sentimenti, siano essi positivi o negativi. Questa consapevolezza è la competenza emozionale fondamentale sulla quale si basano tutte le altre.

 

 L’autoconsapevolezza delle proprie emozioni è l’elemento costruttivo di un altro importantissimo aspetto dell’intelligenza emotiva, ossia la capacità di liberarsi di uno stato d’animo negativo. L’autoconsapevolezza emozionale implica l’addestramento al riconoscimento precoce della propria emotività: a livello fisiologico, a livello verbale, a livello cognitivo. A livello fisiologico per comprendere meglio la natura di fenomeni organici quali la sudorazione, l’aumento del battito cardiaco ecc., che preannunciano la comparsa dell’emozione e per contribuire ad avere un maggior controllo dell’ansia. A livello verbale per arricchire il vocabolario diretto alla descrizione dell’evento e favorire il monitoraggio e la gestione dell’emozione. A livello cognitivo per migliorare la capacità di riconoscere i pensieri rigidi, irrazionali e automatici che intervengono fra la situazione-stimolo e l’emozione, per interpretarla e per aiutare a ridurre l’impatto degli stati d’animo negativi.

 Goleman, ha distinto tre ampie tipologie di funzionamento metaemotivo a seconda di come gli individui percepiscono e gestiscono le loro emozioni, quali l’autoconsapevole, il sopraffatto, il rassegnato.

 Nell’“autoconsapevole” la visione chiara e sofisticata delle proprie emozioni rafforza altri aspetti della personalità. “Si tratta di individui autonomi e sicuri dei propri limiti, che godono di una buona salute psicologica e tendono a vedere la vita in una prospettiva positiva. Quando sono di cattivo umore, costoro non continuano a rimuginare e a ossessionarsi, e riescono a liberarsi dello stato d’animo negativo prima degli altri. Infatti il loro essere attenti alla propria vita interiore li aiuta a controllare le emozioni.

 Il “sopraffatto” è colui che viene facilmente sommerso dallo “sfogo” delle proprie emozioni. “Essendo dei tipi volubili e non pienamente consapevoli dei propri sentimenti, questi individui si perdono in essi invece di considerarli con un minimo di distacco. Di conseguenza, rendendosi conto di non avere alcun controllo sulla propria vita emotiva, costoro fanno ben poco per sfuggire agli stati d’animo negativi. Spesso si sentono sopraffatti e incapaci di controllare le proprie emozioni”.

Il “rassegnato” invece è colui, che pur avendo spesso idee chiare sui propri sentimenti, tende tuttavia a subirli piuttosto passivamente. In questa categoria rientrano in particolar modo due tipi di soggetti “quelli che solitamente hanno stati d’animo positivi e perciò sono scarsamente motivati a modificarli, e coloro che, nonostante siano chiaramente consapevoli dei propri stati d’animo, e siano suscettibili a sentimenti negativi, tuttavia li accettano assumendo un atteggiamento da laissezfaire senza cercare di modificarli nonostante la sofferenza che essi comportano […]”. (Goleman, 1996)

 

Controllo e regolazione delle proprie emozioni

Si riferisce alla capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati alla situazione. I momenti difficili, come del resto anche quelli positivi, danno sapore alla vita, ma per poterlo fare devono essere in equilibrio; infatti è proprio il rapporto tra emozioni positive e negative che determina il benessere di un individuo. I sentimenti estremi, le emozioni che diventano troppo intense o durano troppo a lungo, minano la stabilità e per questo è importante che i sentimenti molto intensi non sfuggano al controllo. Sicuramente l’istinto a reagire alle situazioni problematiche con una risposta immediata è stato di aiuto alla sopravvivenza della specie, ma oggi è noto che le reazioni istintive spesso si dimostrano inefficaci per risolvere i problemi. Per riuscire a controllare meglio i propri impulsi è necessario utilizzare ciò che si sa sui propri sentimenti e su quelli degli altri, sul proprio punto di vista e su quello altrui. Il controllo delle emozioni comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse.

 

Motivazione di se stessi

La capacità di padroneggiare le emozioni è un requisito fondamentale per riuscire a concentrarsi, per trovare motivazione e controllo di sé. E’ un requisito indispensabile per motivarsi al raggiungimento di un certo obiettivo e a persistere nell’impegno quando le situazioni si fanno altamente frustranti. La motivazione è il motore interno che spinge a mettere in atto tutta una serie di comportamenti che consentono il raggiungimento dello scopo. Quando le emozioni negative sono forti e concentrano l’attenzione dell’individuo sulle proprie preoccupazioni, esse interferiscono negativamente con i suoi eventuali tentativi di concentrarsi su qualcos’altro.

 Nella misura in cui le azioni sono motivate da sentimenti di entusiasmo, e di piacere, sono proprio tali sentimenti a spingere verso la realizzazione. In questo senso l’intelligenza emotiva è “un’abilità fondamentale che influenza profondamente tutte le altre, di volta in volta facilitandone l’espressione, o interferendo con esse”. (Goleman, 1996)

 In questo ambito può essere di notevole utilità insegnare alle persone a sviluppare un pensiero positivo. Seligman (1996) definisce il pensiero positivo “ottimismo flessibile” ed è collegato alla convinzione di essere in grado di raggiungere in modo positivo i risultati prefissati. Come ha evidenziato Bandura (2000) “C’è una differenza considerevole fra il possedere certe sottoabilità e l’essere capace di integrarle in corsi d’azione adeguati ed eseguirle bene in circostanze difficoltose. Spesso le persone non riescono a offrire prestazioni ottimali anche se sanno benissimo che cosa devono fare e possiedono le abilità necessarie per farlo. Il pensiero su di sé attiva i processi cognitivi, motivazionali ed affettivi che governano la traduzione delle conoscenze e delle abilità in un’azione competente. In sintesi il senso di autoefficacia non riguarda il numero di abilità possedute, ma ciò che si crede di poter fare con i mezzi a propria disposizione in una varietà di circostanze diverse”. La motivazione di se stessi è secondo Bandura strettamente legata alle proprie aspettative di autoefficacia. L’autore definisce l’autoefficacia in termini di “credenze nei confronti delle proprie capacità di regolare il comportamento ed intervenire attivamente nei confronti della scelta dei propri obbiettivi e delle azioni che possono essere scelte per il loro raggiungimento”. L’autoefficacia, quindi, è strettamente interconnessa al concetto di sé. James (1890) aveva individuato tre componenti fondamentali del sé: il sé materiale che si riferisce alle conoscenze che la persona possiede a proposito del proprio corpo, del proprio ambiente e di ciò che possiede; il sé sociale che riguarda le molteplici immagini e percezioni che ciascuno presume che gli altri abbiano di noi; il sé spirituale che rappresenterebbe l’autoconsapevolezza che ogni persona ha di se stessa a proposito delle proprie abilità, dei propri atteggiamenti, valori, motivazioni e interessi. Queste tre dimensioni del sé, strettamente interconnesse, dirigono la motivazione in ogni azione.

 

Riconoscimento delle emozioni altrui: empatia

L’empatia si riferisce a quella particolare condizione esperienziale che gli individui vivono quando “sentono dentro” le emozioni di un’altra persona.

 E’ quella capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è di fondamentale importanza nelle relazioni con gli altri. Questa capacità consente di sapere come si sente un altro essere umano, ed entra in gioco in moltissime situazioni, da quelle tipiche della vita professionale a quella della vita privata, a partire dal rapporto sentimentale al rapporto tra genitori e figli.

 

Per un bambino è fondamentale sapere che le sue emozioni incontrano l’empatia dell’altro e che sono accettate e ricambiate in un processo che Stern (1987) definisce di “sintonizzazione”. Mediante la sintonizzazione, il bambino, dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la percezione che gli altri possono e vogliono condividere i suoi sentimenti. Nella teorizzazione di Hoffman (1982) l’empatia viene definita come un processo di attivazione emotiva e consonante con quello di un’altra persona. La chiave per comprendere i sentimenti e le emozioni altrui consiste nella capacità di leggere i messaggi che vengono manifestati da una comunicazione non verbale. Raramente gli individui riescono a verbalizzare le proprie emozioni che, spesso, devono vengono espresse attraverso dei segni, quali il tono della voce, i gesti o altri canali non verbali, che possiedono codici specifici in grado di trasmettere agli altri stati d’animo ed emozioni. Come ha affermato Watzlawick (1980), gli individui non solo comunicano attraverso vari codici, ma metacomunicano (la metacomunicazione: è una comunicazione sulla comunicazione) esplicitando all’altro ciò che sta dietro al messaggio inviato.

 L’empatia si basa innanzitutto sull’autoconsapevolezza, nel senso che più “siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più saremo abili anche nel leggere i sentimenti degli altri”. (Goleman, 1996) Condividere, o comunque provare un sentimento insieme ad un’altra persona significa essere emozionalmente partecipi. Ma per poter condividere affettivamente, come ha affermato Strayer, (1987) occorre la differenziazione emotiva tra sé e l’altro. Solo riconoscendo gli affetti dell’altro come diversi dai propri è possibile accoglierli e farli propri. Le persone empatiche sono più sensibili ai sottili segnali sociali che indicano i bisogni, le necessità o i desideri altrui, mentre “l’incapacità di registrare i sentimenti altrui è considerata come un gravissimo deficit dell’intelligenza emotiva”. (Goleman, 1996) In ogni tipo di rapporto, nella capacità di essere umani, la radice dell’interesse per l’altro sta nell’entrare in sintonia emozionale. Questa è la premessa fondamentale per una efficace gestione delle relazioni.

 

Gestione delle relazioni

La capacità di gestire le emozioni altrui è un’abilità fondamentale nell’arte di trattare le relazioni interpersonali. Per poter gestire le emozioni altrui e per entrare in sintonia con gli altri, è basilare aver sviluppato una buona padronanza di sé, una certa calma interiore e una buona conoscenza dei propri sentimenti. Gestire in modo efficace le relazioni interpersonali può essere definita come “un’arte raffinata delle relazioni” che richiede la maturità di altre due capacità emozionali, l’autocontrollo e l’empatia”. (Goleman, 1996). Queste due capacità emergono intorno ai due anni e si sviluppano poi, negli anni successivi. Con il raggiungimento dell’autocontrollo e dell’empatia, matura l’abilità sociale, che permetterà lo sviluppo delle competenze sociali che contribuiranno a fare in modo che l’individuo tratti efficacemente con gli altri. Tali abilità sociali consentono di plasmare un’interazione, di trovarsi bene nelle relazioni intime, di mobilitare, ispirare, influenzare gli altri, facendo, comunque, sentire l’altro a proprio agio. La mancanza di queste abilità può portare un individuo, anche se intellettualmente brillante, al fallimento nella gestione delle sue relazioni, rivelandosi nei confronti degli altri, come un individuo insensibile e antipatico. Le competenze emotive possono essere apprese e allenate. Il nostro cervello è plastico e non smetteremo mai di imparare, ma durante i primi anni di vita la capacità di apprendimento è massima. Più i bambini sono piccoli, più i loro neuroni sono alla ricerca di nuovi collegamenti e ramificazioni: è questo che permette loro di apprendere con grande rapidità e in modo permanente (LeDoux, 1996). Goleman nella sua opera ipotizza che l’intelligenza emotiva, a differenza del QI, possa essere acquisita e potenziata in qualsiasi fase della vita e sottolinea come essa tenda ad aumentare in proporzione alla consapevolezza degli stati d’animo, al  

 

contenimento delle emozioni che provocano sofferenza, al maggior affinamento dell’ascolto e della sensibilizzazione empatica. Inoltre, evidenzia che QI e intelligenza emotiva non sono competenze da ritenersi opposte, ma solo separate poiché tutti siamo dotati di abilità intellettuali ed emozionali e in ogni nostra azione, reazione, comportamento, esse si fondono in un’unica totalità.

 Come afferma Goleman (1996), ogni bambino per poter apprendere in modo efficace deve aver sviluppato sette “ingredienti” fondamentali tutti collegati all’intelligenza emotiva, quali:

 1. Fiducia. Un senso di controllo e padronanza sul proprio corpo, sul proprio comportamento e sul proprio mondo; la sensazione, da parte del bambino, di avere maggiori probabilità di riuscire in ciò che intraprende di quante non ne abbia invece di fallire, e che comunque gli adulti lo aiuteranno.

 2. Curiosità. La sensazione che la scoperta sia un’attività positiva e fonte di piacere.

 3. Intenzionalità. Il desiderio e la capacità di essere influenti e perseveranti. Questa capacità è collegata al senso di competenza, alla sensazione di essere efficaci.

 4. Autocontrollo. La capacità di modulare e controllare le proprie azioni in modo appropriato all’età; un senso di controllo interiore.

 5. Connessione. La capacità di impegnarsi con gli altri, basata sulla sensazione di essere compresi e di comprendere gli altri.

 6. Capacità di comunicare. Il desiderio e la capacità di scambiare verbalmente idee, sentimenti e concetti con gli altri. Questa abilità è legata a una sensazione di fiducia negli altri e di piacere nell’impegnarsi con loro, adulti compresi.

 7. Capacità di cooperare. L’abilità di equilibrare le proprie esigenze con quelle degli altri in un’attività di gruppo.

 

 

Freud S. (1915), Metapsicologia, in Opere (1976), Bollati Boringhieri, Torino

 Goleman D. (1996), Intelligenza emotiva, Bur Saggi, Milano.

 Hoffman M.L. (1982), Development of prosocial motivation: Empaty and guilt, in Eisenberg N., The development of prosocial behavior, Academic Press, New York, pp. 281-313.

 Lo Presti C., Quadernucci B. (2004), L’allenamento emotivo per i nostri bambini, Era Nuova, Perugia.

 LeDoux J. (1996), Il cervello emotivo, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano.

 Salovey P., Mayer J. (1990), Emotional Intelligence, in Imagination, Cognition and Personality, vol. 9 (3), pp. 185-211, pp. 1989-90.