PENSARE E SENTIRE: LA SINTESI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA
Tutti sappiamo che abbiamo due menti, una che pensa l’altra che sente. Queste
due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per
costruire la nostra vita mentale. La loro sintesi ha una particolare importanza
in diversi ambiti: nella relazione di aiuto, nell’impegno educativo e
didattico, nel lavoro sociale e psicologico, nell’organizzazione del lavoro,
perché il soggetto che si vuole coinvolgere è fatto di pensiero e di
sentimento, di intelligenza e di affettività, e va sollecitato in maniera
globale ed integrata in relazione a qualsiasi obiettivo di crescita, che si
intende raggiungere.
La dicotomia emozionale - razionale è simile alla popolare distinzione fra
cuore e mente. Quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore, la nostra
convinzione è di ordine diverso: in qualche modo è una certezza più profonda di
quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il processo educativo
non può essere un fatto intellettualistico, né all’opposto un fatto istintivo
ed immediatistico; deve essere al contrario un processo capace di evitare
queste due polarità, facendo interagire nel soggetto che educa così come nel
soggetto da educare l’interazione tra intelligenza ed emotività.
Se
noi consideriamo l’importanza che hanno avuto le emozioni da un punto di vista
della storia dell’umanità, ci rendiamo conto che esse hanno assunto un ruolo
fondamentale: la nostra specie non sarebbe sopravvissuta se di fronte a
situazioni di pericolo si fosse fermata a pensare. Pertanto l’emozione è
immediata: basti pensare alla paura. Per capire come mai il sentimento e la
ragione entrino in conflitto tanto facilmente, bisogna pensare al modo in cui
si è evoluto il cervello umano. Molto prima che esistesse la mente razionale
esisteva quella emozionale. Il modello scientifico della mente emozionale,
emerso in anni recenti, spiega come le nostre azioni siano in gran parte
determinate dalle emozioni e in che senso le emozioni hanno la loro logica e le
loro ragioni.
CHE
COS’E’ E A CHE COSA SERVE L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Nella realtà
attuale delle agenzie educative sia del pubblico che del privato sociale la
dimensione cognitiva ed emotiva dell’adulto e del soggetto in età evolutiva
tendono ad essere messe in contrapposizione fra loro, e non vengono fatte
dialogare. I sentimenti dell’educatore e del suo interlocutore continuano
ad essere considerati elementi poco importanti, materia di scarto
da accantonare o da negare, aspetti non utili e non inerenti al processo
educativo. Spesso i dati emotivi vengono addirittura non riconosciuti e
rimossi.
Occorre
invece impegnarsi a tutti i livelli nel prospettare e nel favorire lo sviluppo
dell’intelligenza emotiva sia degli adulti che dei soggetti in età evolutiva.
Per intelligenza emotiva, come s’è visto, intendiamo la capacità di
armonizzare il pensiero e i sentimenti, la parola con i vissuti emotivi,
la dimensione mentale con la dimensione affettiva. In particolare
l’intelligenza emotiva prevede le seguenti competenze:
· la capacità dell’adulto e del bambino di
riconoscere, rispettare e mettere in parola il mondo soggettivo dei sentimenti
e delle emozioni;
· la capacità di controllare gli impulsi
emotivi senza reprimerli e senza entrare in conflitto frontale con essi e senza
neppure, tuttavia, farsene travolgere;
· la capacità di sviluppare
l’efficienza mentale e la comprensione della realtà e di motivarsi in
modo globale (con la razionalità e con l’emotività) al raggiungimento di
obiettivi e finalità;
· la capacità di percepire e comprendere le
emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici;
· la capacità di interagire positivamente con
le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi
comunicativi e relazionali con gli altri.
La
confidenza da parte dei soggetti in età evolutiva con la propria vita emotiva
favorisce la possibilità di raggiungere gli obiettivi nell’intervento
didattitico o socio-educativo, di elaborare i conflitti all’interno del gruppo
dei pari e di sviluppare la comprensione reciproca e la solidarietà.
Un’applicazione
importante delle competenze relative all’intelligenza emotiva consente
all’insegnante o all’educatore o all’animatore – a seconda dei contesti e dei
compiti da realizzare - di avvicinare al dialogo e all’elaborazione
riflessiva le problematiche dell’aggressività e della rivalità all’interno dei
gruppi, sia quelle della sessualità e della affettività - che
spesso compaiono in maniera spontanea e talvolta in forme confuse e
provocatorie fra i ragazzi. La confidenza con le emozioni,
anche quelle negative, spiacevoli e conflittuali facilita inoltre
l’elaborazione nei bambini e negli adolescenti degli impulsi che spingono alla
devianza, permette di controllare la trasformazione del disagio in desiderio di
stordimento e di fuga, desiderio sotteso all’uso di sostanze o ad altri
passaggi all’atto tendenzialmente distruttivi o autodistruttivi.
Il possesso
di competenze cognitive da un lato e di competenze emotive e relazionali
dall’altro dovrebbe caratterizzare ogni attività professionale che implica un
rapporto con le persone e con i bambini. Certamente questa sintesi non dovrebbe
risultare estranea a qualsiasi forma di impegno professionale o volontario in
qualsiasi istituzione sociale, sanitaria, scolastica, educativa, giudiziaria a
contatto con soggetti in età evolutiva.
Le
competenze culturali riguardano la chiarezza degli obiettivi educativi, la
conoscenza dei metodi, la comprensione di ciò che è pedagogicamente
efficace e deontologicamente corretto, la coerenza dei valori
e dei progetti, il padroneggiamento cognitivo delle tecniche e delle
risorse che si possono utilizzare.
Le
competenze emotive e relazionali riguardano la capacità d’ìdentificazione con
il disagio degli utenti, la comprensione delle risorse e delle
potenzialità di questi ultimi, la capacità di ascolto e di
sostegno, la disponibilità e la vicinanza emotiva nei confronti
dei problemi e delle difficoltà concrete e quotidiane dei bambini, dei ragazzi
e delle loro famiglie, la capacità di pensare in positivo e di sollecitare la
creatività degli interlocutori.
La tematizzazione delle competenze emotive e relazionali come distinte
dalle competenze cognitive rinvia alla teoria dell’intelligenza
emotiva di Daniel Goleman. Cosa afferma questa
teoria? In sintesi afferma che lo sviluppo di della capacità di riconoscere e
di gestire i sentimenti propri ed altrui può migliorare il benessere degli
individui e la loro possibilità di motivarsi e di realizzarsi, di
comunicare e di interagire tra loro. L’intelligenza emotiva può inoltre
ottimizzare nelle organizzazioni i processi di apprendimento, di acquisizione e
di scambio delle informazioni, di elaborazione delle decisioni.
La visione scientifica è stata per decenni molto sbilanciata, perché ha
concentrato tutte le attenzioni sulla mente razionale. Solo in questi ultimi
anni le ricerche stanno gradualmente cambiando, si sta superando
l’atteggiamento di considerare la vita mentale emotivamente piatta, scarsamente
rilevante e poco significativa.
Si è cominciato a riconoscere il ruolo essenziale del sentimento nel pensiero,
il potere delle emozioni nella vita mentale, come nondimeno a riconoscere i
vantaggi che esse comportano. Oggi la pedagogia e la psicologia concordano nel
sottolineare che non esiste un unico tipo monolitico di intelligenza: già
Gardner nel 1983 aveva individuato sette varietà fondamentali d’intelligenza:
oltre a quella verbale e logico - matematica, i due tipi standard su cui la
scuola e le istituzioni educative hanno tradizionalmente puntato, Gardner
individuava un’intelligenza spaziale (quella che si può esprimere in un
artista), un’intelligenza cenestesica che si può esprimere nella danza o nella
fluidità dei movimenti; un’intelligenza musicale; individuava inoltre
l’intelligenza interpersonale, ossia la capacità di comprendere lo stato
d’animo degli altri e le loro motivazioni e di interagire positivamente con gli
altri. E’ stata infine concettualizzata un altro tipo di intelligenza
individuale, quella intrapersonale, che è la chiave per accedere alla conoscenza
di sé e ai propri sentimenti, quindi non solo capire lo stato d’animo
dell’altro, ma conoscere quello che soggettivamente viene sperimentato (“ciò
che io provo”).
Da questa evoluzione del concetto d’intelligenza, si è giunti nell’ultimo
periodo a parlare di intelligenza emotiva: sentimento e mente vengono unite
insieme.
La convinzione teorica che possano esistere una vasta gamma di varietà
d’intelligenza, abbinata alla conoscenza pratica degli strumenti per
riconoscere le diverse forme e per farle evolvere, porta a valorizzare le
potenzialità difformi ed originali dei processi espressivi e maturativi in
tutti gli interlocutori del processo educativo. Anche i minori che
rischiano di essere stigmatizzati e svalutati a partire da un concezione monolitica
e standardizzata di intelligenza e di finalità educativa, possono essere
sollecitati in modo vivo e creativo a scoprire e a far emergere l’intelligenza
specifica di cui sono portatori e l’intelligenza emotiva che esiste comunque
dentro di loro, cioè la capacità potenziale di armonizzare il pensiero e con la
vita affettiva ed emotiva.
E’ massicciamente diffuso nella cultura sociale un pregiudizio negativo nei
confronti della vita emotiva, vista esclusivamente come un fattore di
disturbo e di interferenza negativa nei confronti dei processi valutativi e
decisionali. La cultura dell’intelligenza emotiva afferma invece che
emozioni e sentimenti sono anche e soprattutto una risorsa.
Come è possibile incanalare l’emozione verso un fine concreto e produttivo?
Goleman ci aiuta a dare una risposta al quesito individuando cinque funzioni
che compongono l’intelligenza emotiva:
Conoscenza
delle proprie emozioni: ovvero l’autoconsapevolezza - la capacità di riconoscere un sentimento
nel momento in cui esso si presenta -. Parafrasando lo psicologo John Mayer,
essere consapevoli di sé significa essere “consapevoli sia del nostro stato
d’animo che dei nostri pensieri su di esso”. L’autoconsapevolezza è
fondamentale non solo per la comprensione psicologica, ma anche per la crescita
educativa: l’educatore di comunità o di territorio, l’operatore impegnato
nell’intervento socioeducativo, l’animatore del centro di aggregazione
giovanile possono trarre grande vantaggio nella loro attività dallo
sviluppo della capacità di riconoscere e di mettere in parola i sentimenti
indotti dalla relazione educativa al fine di poter trasmettere un’analoga
capacità ai destinatari dell’intervento.
Controllo
delle emozioni: ovvero la
capacità di controllarle per far sì che esse siano appropriate. Alcuni
pensatori antichi la chiamarono temperantia: è l’equilibrio, non la
soppressione delle emozioni. Ogni sentimento ha un suo significato. L’arte di
tranquillizzare e confortare se stessi, è una capacità fondamentale nella vita.
Winnicott la considerava uno degli strumenti psichici più essenziali. Solo un
educatore capace di sperimentare un controllo sano delle emozioni potrà
sollecitare una competenza analoga nello sviluppo del soggetto in età
evolutivo.
Motivazioni
di se stessi: ovvero il
motore interno che ci spinge a mettere in atto tutta una serie di comportamenti
che consentono il raggiungimento dello scopo. Abbiamo visto che riconoscere e
controllare le emozioni sono abilità fondamentali per incanalare le stesse
verso un fine produttivo. In ogni istituzione sociale, scolastica ed educativa
è di fondamentale importanza attivare le energie e le motivazioni dei soggetti
in età evolutiva e l’intelligenza emotiva è l’atteggiamento più produttivo in
questa direzione.
Riconoscimento
delle emozioni altrui: ovvero
l’empatia, la capacità di sentire dentro, di avvertire lo stato emotivo
dell’altro. Si tratta di ascoltare i vissuti emotivi dell’altro (che non sono i
nostri), di rispecchiarli, di comprenderli mentalmente e se necessario, di
metterli in parola. Sentirsi ascoltati da un punto di vista
emotivo dalla persona che abbiamo accanto ci aiuta molto. E’ fondamentale per
un bambino sapere che le sue emozioni incontrano l’empatia dell’altro, che sono
accettate e ricambiate in un processo che Daniel Stern chiama
“sintonizzazione”. Attraverso la sintonizzazione, il bambino dopo gli otto mesi
di vita, inizia a sviluppare la percezione che gli altri possono e vogliono
condividere i suoi sentimenti. La prolungata assenza di sintonia tra genitori e
figli, presumibilmente porta il bambino ad evitare di provare ed esprimere le
proprie emozioni.
Gestione
delle relazioni: ovvero la
capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con efficacia
le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli
altri. Si tratta di un’abilità molto importante che aumenta la competenza
sociale e professionale, dal momento che ogni significativa relazione sociale
ed educativa presenta quotidianamente conflitti e problemi. Nell’attività
scolastica, nel lavoro sociale e nell’intervento educativo affrontare i
conflitti che coinvolgono nei modi più vari i bambini e gli adolescenti è
incombenza quotidiana ed ineludibile e l’intelligenza emotiva può aiutare
l’insegnante, l’educatore e l’operatore nel gestire questo compito.
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